PALERMO- La truffa degli assegni familiari. Così era stata definita dagli investigatori. Adesso su quella definizione la Corte di Cassazione mette il bollo rendendo definitive le condanne per quindici, per lo più ex, dipendenti della Fondazione Teatro Massimo. A cominciare dal capo dell’ufficio paghe Nicolò Giuseppe Amato che fu l’artefice delle truffe. Per due soli imputati i supremi giudici hanno annullato la condanna con rinvio. Si dovrà fare un nuovo processo di secondo grado per Antonio Giordano e Giuseppe Melodia difesi dagli avvocati Michele De Stefani, Marco Martorana e Umberto Seminara. E a questo punto la “battaglia” giudiziaria si combatterà oltre che nel merito anche sulla prescrizione dei reati.
Questi invece i condannati tutti a diciotto mesi: Nicolò Amato, Giovanni Di Liberto, Rosalia Giovanna Ferrara, Vincenzo D’Agostino, Salvatore Giglio, Isidoro Greco, Gaspare La Barbera, Aldo Martorana, Salvatore Massa, Francesco Scrima, Alda Sparano, Vincenzo Zora, Francesco Oliveri, Salvatore Scrima. Sedici mesi ha avuto Gino Ziino. C’era chi aveva dichiarato di avere sette figli a carico pur di ottenere assegni familiari gonfiati. E non è tutto perché Amato indirizzava i dipendenti con gli stipendi taroccati verso una finanziaria per la stipula di prestiti e dalla quale incassava una percentuale. L’anno scorso su Amato arrivò anche la stangata della sezione giurisdizionale della Corte dei Conti che condannò a pagare 796 mila euro per il danno erariale provocato alla Fondazione Teatro Massimo di Palermo, parte civile anche nel processo penale con l’assistenza dell’avvocato Giovanni Rizzuti