Il pentito Tranchina: "Via D'Amelio | mi sconvolse la vita" - Live Sicilia

Il pentito Tranchina: “Via D’Amelio | mi sconvolse la vita”

"Io dovevo solo occuparmi della latitanza di Graviano, mi sono ritrovato in mezzo ad altre cose".

Il processo sulla trattativa stato-mafia
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PALERMO – “Il giorno dell’arresto di Totò Riina, Graviano era molto giù e mi disse: ‘Noi siamo tutti figli di questo cristiano. Ora potrebbe scoppiare una guerra, ma tu stai tranquillo. Con Riina abbiamo preso degli impegni. Noi abbiamo le nostre garanzie. O fanno quello che diciamo noi o gli rompiamo le corna’”. Lo ha detto il pentito Fabio Tranchina, per anni braccio destro del capomafia di Brancaccio Giuseppe Graviano. “Io non chiesi nulla – ha aggiunto – mi limitati ad ascoltare. Quando parlò di garanzie indicò verso l’alto con la mano”. “Quando Graviano disse che avevamo degli impegni presi – ha spiegato – alludeva alle stragi commesse e a quelle che si sarebbero dovute compiere. Mentre quando disse che forse poteva scoppiare una guerra voleva dire che in Cosa nostra c’erano due anime: una stragista e un’altra no”.

“Graviano – ha raccontato – mi disse di essere certo che che nel covo in cui incontrava Riina non c’erano microspie perché altrimenti il blitz l’avrebbero fatto lì e non avrebbero arrestato Riina altrove visto che nel nascondiglio avrebbero potuto prendere altri mafiosi e visto che c’erano tanti soldi che si poteva comprare tutta la Sicilia”. “Sulle garanzie a cui accennò Graviano – ha detto Tranchina – non approfondii il discorso, né mi fece i nomi dei soggetti che dovevano fare quel che dicevamo noi”.

FALCONE
“Vedendo in tv le immagini di Falcone con la scorta, dissi a Graviano: ‘Questo è inavvicinabile’. Lui mi guardò come a dire ‘aspetta che poi vedi come è inavvicinabile'”. Lo racconta il pentito Fabio Tranchina che sta deponendo al processo sulla trattativa Stato-mafia. “Poco prima avevo visto caricare delle armi che erano destinate a un’azione eclatante a Roma – aggiunge – Capii allora che si dovevano usare per colpire il magistrato, ma poi non se ne fece nulla”. Il progetto di eliminare Falcone nella Capitale viene accantonato e Cosa nostra decise di ucciderlo mentre ritornava a Palermo percorrendo l’autostrada, a Capaci. “Qualche giorno prima della strage di Capaci – spiega – Graviano mi disse di non passare per un po’ sull’autostrada. Io avvertii anche i miei familiari che avevano una villetta nella zona”. “Graviano quasi si giustificava dell’attentato a Falcone – ha rivelato il pentito – e mi diceva che ‘la gente non si lamenta di quello che è accaduto, perché in fondo muoiono più persone con gli incidenti'”.

LA STRAGE BORSELLINO
“La strage in cui morì il giudice Borsellino, ma anche fatti come l’attentato al vicequestore Germanà, sono fatti che mi hanno sconvolto la vita. Io dovevo solo occuparmi della latitanza di Graviano, mi sono ritrovato in mezzo ad altre cose”. E’ lo sfogo di Tranchina, che per tre anni fu inseparabile guardaspalle del boss Giuseppe Graviano. Prima di lui ha deposto l’ex collaboratore di giustizia Paolo Bellini. Il pentito, reclutato come addetto alla sicurezza del boss dal cognato Cesare Lupo, faceva da autista a Graviano nei suoi spostamenti. Il giorno dell’arresto del padrino corleonese Totò Riina, il 15 gennaio del 1993, Tranchina avrebbe portato Graviano a un summit con il capomafia.


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