PALERMO – Riunioni di giunta un po’ troppo… affollate. Documenti che arrivano sul tavolo degli assessori un minuto prima di deliberare assunzioni, finanziamenti milionari, nomine dirigenziali. Un caos. Che ha un nome: governo Crocetta. Anzi, “governi” Crocetta, visto che queste abitudini un po’ informali di gestire la Regione rappresenterebbero lo specchio di un “modus operandi” radicato. Costante. A dirlo non è un feroce oppositore politico. Ma la Procura della Corte dei conti. E lo spaccato, a tratti inquietante, emerge con forza dall’atto di citazione in giudizio che ha coinvolto il presidente della Regione, l’attuale amministratore unico di Sicilia e-Servizi Antonio Ingroia, un gruppo di assessori, qualche funzionario e persino l’Avvocato dello Stato Giuseppe Dell’Aira.
Il tema è quello delle contestate assunzioni degli ex dipendenti del socio privato di Sicilia e-Servizi. Assunzioni decise appunto dal governo e dall’amministratore della società, Antonio Ingroia. Ma in un certo senso, il tema diventa “sfondo” per raccontare una storia nella storia. Che emerge chiara dalle carte della Procura contabile. Che intanto parte da un assunto: “Nessun atto, né della procedura di evidenza pubblica per la scelta del socio privato, né a valle della medesima prevedeva un esplicito riferimento ad un obbligo di far transitare personale dal socio privato Sisev al socio pubblico Sicilia e-servizi, e men che meno si prevedeva un transito di massa”.
Ma il governo, da un certo momento in poi, decide che quelle assunzioni vanno fatte. Nonostante pochi mesi prima avesse deciso esattamente il contrario: internalizzare le attività informatiche, con tanto di creazione di un ufficio speciale della Regione. Un ufficio al quale era stato destinato anche un gruppetto di dipendenti. Ma, appunto, Crocetta cambia idea. E per “sostenere” la propria marcia indietro si affida (formalmente sono il dirigente generale Pisciotta e la dirigente Signorino ad avanzare la richiesta) all’Avvocatura dello Stato che dà il via libera, nonostante il vigente blocco delle assunzioni. E viene preparata una delibera di giunta. A quel punto, la pratica passa nelle mani dell’allora assessore all’Economia Luca Bianchi. E iniziano i dubbi. L’economista romano infatti “respinge” quella proposta di delibera: le competenze sono del presidente della Regione, dice in sostanza.
Una “presa di distanze” che, proseguendo nella lettura dell’atto di citazione, non sarà casuale. Ma il primo segnale di un malcontento pronto a sfociare. Malcontento per un modo di operare confusionario, improvvisato e che non prevedeva una chiara autonomia degli assessori. Non è un caso che – stando sempre alle carte dei magistrati contabili – “si è accertato che il carteggio allegato alla delibera di giunta” era pervenuto “lo stesso giorno e a ridosso” della giunta stessa. Nessun assessore, insomma, aveva potuto vagliare quella decisione. Una decisione, si legge in una nota di Ingroia riportata dai pm contabili, frutto di una “manifesta e univoca volontà espressa dalla Regione”. Ma questa volontà, come vedremo, sembra non fosse così univoca.
E così, alcune dichiarazioni di ex assessori come Bianchi e Marino, fanno emergere uno spaccato preoccupante. “Dall’audizione di alcuni assessori e dalla documentazione da alcuni di essi prodotta scrivono i giudici – è emerso che le riunioni di giunta, oltre che essere tenute anche alla presenza di soggetti non istituzionalmente legittimati a parteciparvi, erano spesso connotate da improvvisazione incompatibile con la delicatezza delle questioni da trattare”. Improvvisazione. Di fronte a scelte delicate. Scelte prese alla presenza di persone che non erano “legittimate” a stare in giunta in quel momento.
Una improvvisazione, proseguono i giudici, che non era dettata dall’emergenza, “bensì – scrivono – costituiva logico sviluppo di un modus operandi con cui la giunta, sovente, affrontava con improvvisazione le questioni su cui deliberare”. E nel caso specifico di Sicilia e-Servizi, ecco che dalle dichiarazioni degli ex assessori e dei dirigenti emerge come “la genesi della richiesta di parere all’Avvocatura dello Stato è risultata direttamente riconducibile ad una volontà politica del presidente Crocetta, improvvisata e non da tutti condivisa”. Altro che “volontà unanime”, insomma. E la improvvisazione sta anche nel coinvolgimento, come emerge dagli atti, dell’avvocato Chiapparone dell’Ufficio legislativo e legale “interpellato frettolosamente all’esito di una riunione”, dopo che il presidente Crocetta – ecco un altro passaggio inquietante, che emerge dalle dichiarazioni della dirigente Rossana Signorino, poi sollevata dalla guida dell’Ufficio per le società partecipate – aveva rassicurato “i ragazzi di Sicilia e-Servizi sulla loro assunzione”.
Fa tutto il presidente, insomma. Decide di chiedere un parere che lo conforti nella scelta di riaprire alle assunzioni. E rassicura direttamente i lavoratori. Nonostante sia l’assessore Bianchi che la collega Valenti avessero esposto “le criticità connesse alla conclusione del rapporto con il socio privato”. Note alle quali “il presidente Crocetta – scrivono i pm contabili – non ha dato riscontro alcuno”. Il presidente aveva deciso, insomma. Quelle assunzioni andavano portate a termine. Nonostante i dubbi di qualche assessore, le carte portate in giunta all’ultimo momento, la presenza in quelle riunione di persone che non avevano il diritto di stare lì, nonostante pochi mesi dopo lo stesso governatore avesse deciso esattamente nella direzione opposto: liquidare Sicilia e-Servizi e passare le funzioni all’interno della Regione. La scelta giusta, secondo i pm della Corte dei conti. Ma il presidente della Regione ha finito – chiosano i giudici – per “rinnegare” quella che era stata una “scelta di legalità”. Rinnegare la legalità. Nel caos della sua giunta.