Da Lombardo a Crocetta: | solo ammucchiate di potere - Live Sicilia

Da Lombardo a Crocetta: | solo ammucchiate di potere

Silvio Alessi, indicato da Forza Italia, vince le primarie del centrosinistra nel capoluogo agrigentino. Con la benedizione di chi doveva rompere col passato e fare la "rivoluzione". Una favoletta, come quella dell'autonomismo e quella della rottamazione.

PALERMO – Forza Italia ha vinto le primarie di centrosinistra. Basterebbe questo, per fornire un’immagine esaustiva dell’impostura. Ma forse c’è di più. C’è, nel caso agrigentino, il disvelamento definitivo di quella finzione. Il denudamento di una retorica che attraversa la politica siciliana con l’intento dichiarato di rompere tutto. Per non rompere niente. E, anzi, per generare “mostri”. Ibridi difficile da inserire in una ideale scala di valori e tradizioni. Questa è, a pensarci bene, la candidatura di Silvio Alessi, che ora dovrà essere sostenuta dal cosiddetto “centrosinistra”.

Lasciamo stare in pace il Gattopardo, stavolta. E pure, nonostante la suggestione territoriale, i soliti personaggi in cerca d’autore. Ma la vittoria annunciata, annunciatissima, scontata di Alessi alle primarie per la corsa a primo cittadino smantella, semmai ce ne fosse bisogno, l’ultima impalcatura alzata sulla facciata cadente della Sicilia: quella della rivoluzione. Quella della rottura col passato. Quella della discontinuità.

Rosario Crocetta ha deciso di sedersi al tavolo di quella coalizione. Sulle altre sedie gli uomini che furono del Cavaliere, di Lombardo, di Micciché, di Cuffaro. Il passato col quale non si vuole, al di là delle dichiarazioni di facciata, rompere. Mai. Nemmeno quando, dalla Sanità alla Formazione, il governatore afferma che “il passato non tornerà”. E in parte ha ragione. Perché il passato non se ne è mai andato.

Ha attraversato, infatti, quasi indenne e a tratti sfacciato, le ultime tre imposture servite ai siciliani dopo il ciclone che ha coinvolto Totò Cuffaro. Una parentesi, quella del governatore finito in carcere per mafia, nella quale, quantomeno e al di là di ogni valutazione di merito, si scorgevano ancora i contorni delle identità. Le differenze.

Differenze delle quali nessuno, al di là di qualche spot, sembra ormai curarsi. Prima, ecco gli afflati autonomisti buoni per giustificare scandalosi ribaltoni, alleanze imbarazzanti, grotteschi “appoggi esterni”, assessori tecnici buoni per mettere insieme tutto ciò che si può. Anche l’ala più “antimafia” del Pd (quella del senatore Beppe Lumia) col governatore già allora indagato per mafia. Persino qualche orgoglioso comunista insieme agli ex (orgogliosi) fascisti di Gianfranco Fini e ai “sessantunisti a zero” di Micciché. L’impostura dell’autonomismo è tutta lì. Un artificio retorico usato strumentalmente da classi “dirigenti” politiche per abbattere i muri dell’idelologia. Dell’identità. Una giustificazione all’opportunismo politico che si è tradotto nell’opportunismo del potere. Alla faccia di chi, magari, a quell’autonomismo ha creduto e crede davvero, in buona fede.

Ma l’impostura dell’autonomia è confluita quasi senza soluzione di continuità nella favola della rivoluzione raccontata da un megafono. Se togli Lombardo, sono tutti lì: gli autonomisti Lino Leanza, Giovanni Pistorio e Nicola D’Agostino, i “sudisti” Michele Cimino, Titti Bufardeci. E si potrebbe proseguire come fosse una teoria di maschere. La rivoluzione, ovviamente, non l’ha vista nessuno, se si esclude qualche spettatore dell’Arena di Giletti. E tantomeno si è vista la “rottura”. Anzi.

A “rottura” se ne è aggiunta un’altra, in Sicilia. Quella che ha avuto come teatro la “Leopolda sicula”. Dove è apparso chiaro che nell’Isola, la terza impostura, quella della “rottamazione”, nasconde la realtà di un continuo riciclo. Invece di rottamare, i renziani di Sicilia, Davide Faraone in testa, hanno preferito rivolgersi all’usato sicuro. A politici che hanno sostenuto i governi Cuffaro e Lombardo, e che si ripresentano sul carro dei renziani dopo avere, senza troppo rossore, “truccato” il contachilometri.

Ed eccoli tutti lì. A banchettare all’ombra dei Templi dove stavolta si è deciso di sacrificare un giovane militante del Pd, quell’Epifanio Bellini che non ha trovato forse la forza o la voglia per tirarsi fuori da quel destino scritto già diversi mesi fa. Un destino che ha prodotto quell’ibrido terrificante. Un candidato di centrosinistra sponsorizzato da un parlamentare nazionale di Forza Italia, Riccardo Gallo Afflitto, in passato molto vicino a Marcello Dell’Utri. Il passato che, a giorni alterni, al governatore fa un po’ schifo. Sono i giorni in cui Crocetta rivendica di possedere il monopolio della rottura, autodefinendosi “più renziano di Renzi”. Mentre Renzi (insieme ai suoi fedelissimi di Sicilia) dice no alla candidatura di Mirello Crisafulli a Enna, salvo chiudere gli accordi di governo e di sottogoverno con gli esponenti politici del Pd (a cominciare dal segretario regionale Fausto Raciti) più vicini al politico impresentabile E “marchiato” persino dal regista Pif, durante una Leopolda: “Ma come fate a tenere Crisafulli nel Pd?” chiese, suscitando una fragorosa risata a Davide Faraone.

Alla Leopolda sicula, però, lo stesso Pif, insieme a tanti ideali rottamatori, avrebbe rischiato di confondersi. Erano tutti presenti a celebrare il rito dello “scaricachilometri”. Dell’usato sicuro. E quanto si sarebbe divertito ad Agrigento, dove le primarie del Pd, il Pd di Renzi (al di là della presa di distanze dei ‘renziani’ agirgentini), celebravano la vittoria di Silvio Alessi. Primarie che, stando alle parole del vicepresidente della Regione Mariella Lo Bello, la più vicina a Crocetta, dovevano rappresentare un “messaggio di rinascita e democrazia partecipata”. E sul secondo punto, di certo non si è sbagliata. Alle primarie del centrosinistra ha partecipato davvero chiunque.


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