Nicastri e i terreni dei Salvo| Pesanti richieste di pena - Live Sicilia

Nicastri e i terreni dei Salvo| Pesanti richieste di pena

Il casolare dove si incontravano i boss

Sotto processo anche il fratello di Vito, Roberto, e un agronomo.

PALERMO – Vito Nicastri “merita” una condanna a dodici anni di carcere. È la richiesta del pubblico ministero della Dda di Palermo Gianluca De Leo. Le accuse contestate all’imprenditore che finanziava i boss sono “concorso in associazione mafiosa e intestazione fittizia di beni”.

Si tratta del processo nell’ambito del quale, nei giorni scorsi, è stato deciso l’aggravamento della misura cautelare per Nicastri che la lasciato i domiciliari per tornare in carcere. Una tranche ha portato a galla un presunto giro di mazzette alla Regione che ha per protagonista Paolo Arata, ex deputato di Forza Italia ora vicino alla Lega. A Roma è finito sotto inchiesta il sottosegretario della Lega Armando Siri, accusato di corruzione.

Sotto processo ci sono anche Roberto Nicastri, fratello di Vito (richiesta di condanna a 10 anni), l’agronomo Melchiorre Leone (12 anni), Giuseppe Bellityi (10 anni) e Girolamo Scandariato (12 anni).

Secondo la ricostruzione della Procura di Palermo, i Nicastri avrebbero messo le loro aziende a disposizione per gli affari sporchi dei boss trapanesi. L’agronomo, invece, avrebbe esercitato pressioni sugli eredi dei Salvo affinché cedessero alle pressioni dei boss che erano interessati ai loro terreni.

“Dottore come minchia ragiona… secondo lei viene da Palermo e si fotte cento ettari di terreno… chi la manda?”. Comincia così, con le minacce che avrebbe ricevuto, il racconto che ha fatto saltare l’affare fiutato dai boss. Erano già riusciti ad aggiudicarsi all’asta, tramite alcuni imprenditori compiacenti, una tenuta di Giuseppa Salvo ed avevano messo gli occhi sulle proprietà del marito, Antonio Maria Salvo, nipote di Ignazio, l’esattore mafioso di Salemi.

Nel caso della moglie fu Roberto Nicastri a comprare i terreni per 138 mila euro. Poi avrebbero costretto la donna a ritirare una richiesta di espianto dei vigneti, facendo schizzare il valore a 530 mila euro con i diritti di reimpianto. Il tutto grazie alla partecipazione della Vieffe Agricola di San Giuseppe Jato dei cugini Leonardo Ficarotta e Paolo Vivirito.

I cento ettari di Antonio Maria Salvo si trovano in contrada Sant’Egidio a Mazara del Vallo. L’unica offerta presentata in Tribunale – i Salvo sono sommersi dai debiti – fu quella dell’imprenditore palermitano che, dopo una iniziale ritrosia, ha raccontato la sua versione: “Dopo aver espletato le varie incombenze, io e mio padre, lasciammo lo studio del notaio Salvo rendendoci subito conto che per le scale alcune delle persone presenti nello studio del notaio ci stavano seguendo; si trattava, in particolare, di due individui maturi dell’età apparente compresa tra i cinquanta ed i sessanta anni, un ragazzo più giovane ed una signora dall’aspetto distinto”.

La minaccia proseguì: “Giunti per strada, a ridosso dell’ingresso dello studio notarile, le due persone più mature ci raggiunsero ed uno dei due, il più anziano, mi afferrò per il braccio”. E pronunciò la frase minacciosa. Poi capirono “che si trattava del proprietario del terreno andato all’asta, un certo Salvo Antonio.

Sol successivamente è emerso che nel 2013 aveva ricevuto la visita dell’agronomo Melchiorre Leone che voleva comprare i terreni. Anche quel tentativo andò a vuoto. Dietro ci sarebbe stata la regia del boss di Salemi, Michele Gucciardi.

 


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