Gratti gratti e scopri che questa del voto segreto è una storia di paradossi che si regge su altri paradossi. Una storia, tra l’altro, per nulla inedita. La richiesta del presidente della Regione Musumeci di cancellare dal regolamento dell’Ars questo tipo di votazione è stata rilanciata poche ore fa con toni perentori e assoluti: “Il governo non si presenterà in Aula se prima non verrà abolito il voto segreto”. Una specie di “Aventino al contrario” ha ironizzato il deputato del Pd Antonello Cracolici. Intanto starebbe già partendo la macchina parlamentare, a partire dalla Commissione per il regolamento, appunto.
E non è un caso inedito. Era l’agosto del 2017. A governare era ancora Rosario Crocetta, al tramonto della sua esperienza. A Palazzo dei Normanni si dibatteva sulle modifiche al regolamento dell’Ars. Tra queste, appunto, l’abolizione del voto segreto, all’articolo 6 di un dispositivo che prevedeva altri provvedimenti.
Come andò in quell’occasione? Gli altri articoli furono tutti approvati all’unanimità. Tranne quello sul voto segreto. E del resto, in parlamento non c’era affatto un sentire comune sul tema. Ma il primo paradosso di questa storia sta proprio nelle facce e nei nomi – e nei rispettivi partiti – di chi, in un modo o nell’altro, si schierò a favore del voto segreto tanto odiato da Musumeci.
Era l’otto agosto del 2017, per l’esattezza e a intervenire era il deputato di Forza Italia Giuseppe Milazzo, uno dei più vicini all’attuale presidente dell’Ars Gianfranco Miccichè. Come la pensava Forza Italia appena due anni fa? “Questa ipotesi di soppressione del voto segreto, signor Presidente, – diceva Milazzo rivolgendosi a Giovanni Ardizzone che invece aveva spinto per l’abolizione – e glielo dico con grande serenità e in modo diretto, significa condizionare le coscienze dei parlamentari. Significa fare diventare schiavi i parlamentari dei partiti e delle piazze. Questo Parlamento deve essere attento su una norma così delicata. Io invito i colleghi a prestare attenzione”. Questo pensava Forza Italia.
Ma in quell’occasione si schierò anche uno degli attuali assessori di Musumeci. L’allora capogruppo dell’Udc Mimmo Turano, infatti, consigliò di rimandare la norma in commissione. Per un motivo politico e tecnico: “Faccio parte della Commissione Regolamento – disse – e ricordo l’impegno che si era assunto che era un impegno politico secondo il quale sarebbe arrivato in Aula soltanto tutto quello che veniva approvato all’unanimità. Poiché l’articolo 6 non è stato approvato all’unanimità, le chiedo di stralciare l’articolo 6 e rimandarlo in Commissione”. E qui ecco fare capolino il primo dubbio: anche in questo caso l’accordo politico sarà lo stesso? Arriverà in Aula, la proposta, solo se approvata all’unanimità?
In quei giorni, però, paradosso per paradosso, c’era un partito all’Ars che si era schierato apertamente per il mantenimento del voto segreto. Sia in Commissione che a Sala d’Ercole, dove quell’8 agosto prese la parola Santi Formica, capogruppo della… Lista Musumeci. Il deputato, pur parlando di “cattiva abitudine del voto segreto”, difese apertamente questo istituto. “Noi – spiegava Formica – siamo in presenza di un’elezione diretta, con il presidente della Regione, eletto direttamente, con poteri inauditi. Basterebbe solo ricordare che, dimettendosi il presidente della Regione manda a casa i parlamentari. Se noi – proseguiva – aboliamo il voto segreto in una Istituzione ad elezione diretta, significa che il Parlamento non conta più veramente nulla. Non c’è bisogno di portare leggi in Aula perché quelle leggi di un governo ad elezione diretta, non sfiduciabile e che, quindi di per sé non tratta con il Parlamento, se si abolisse anche il voto segreto è come se abolissimo questa Istituzione. Quindi, invito i colleghi, per queste motivazioni, a bocciarlo, ma palesemente, con voto palese perché bisogna avere la consapevolezza che noi non stiamo nascondendoci per mantenere un privilegio. Stiamo difendendo in una Istituzione ad elezione diretta l’autonomia dell’altro ramo dell’istituzione che è parimenti eletto come Presidente e cioè il Parlamento”. Insomma, il voto segreto, per il capogruppo della Lista Musumeci, era un “baluardo” per la difesa dell’intero parlamento. Altro che abolirlo…
Formica, però, chiedeva che il mantenimento del voto segreto fosse votato palesemente. E qui fa capolino l’altro potenziale paradosso. Perché dopo l’eventuale voto della Commissione regolamento, invocato da Musumeci, perché la modifica sia effettiva servirà anche il voto dell’Aula. Voto che può arrivare comunque a… scrutinio segreto. Insomma, è assai forte il rischio che l’abolizione del voto segreto possa essere bocciata con voto segreto. Sarebbe il colmo.
Ma c’è un’altra questione che stride con le prerogative stesse del parlamento. Un governo che afferma: “Non ci presentiamo finché non viene abolito”, rischia di andare oltre quella che è la propria potestà. L’abolizione eventuale del voto segreto, infatti, sarebbe comunque una libera scelta dei parlamentari, che ora vedrebbero il proprio voto in qualche modo ‘influenzato’ dai propositi belligeranti del governo. Un governo che avrebbe, al massimo, potuto affermare: “Non ci presentiamo finché il parlamento non si sarà espresso liberamente sul voto segreto”. E a questa questione, però, se ne lega un’altra. Ieri in Aula si è fatto riferimento alla responsabilità e all’interesse dei cittadini siciliani. Un nuovo dubbio così fa capolino: condizionare, di fatto, la ripresa dell’attività dell’Aula all’abolizione del voto segreto, quando si avvicinano scadenze delicate e drammatiche comprese quelle riguardanti i documenti finanziari, è davvero una mossa che, consapevolmente o meno, fa il bene dei siciliani?