I segreti dell'omicidio Caponnetto |I verbali incastrano i boss - Live Sicilia

I segreti dell’omicidio Caponnetto |I verbali incastrano i boss

Quattro uomini di spessore malavitoso e un imprenditore strangolato e bruciato. Ecco cosa dicono gli atti giudiziari.

I RETROSCENA DELL'INCHIESTA
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CATANIA – Ricatti, minacce ed estorsioni. Infine, l’omicidio di lupara bianca. I verbali dei famigliari dell’imprenditore Caponnetto incastrano il boss Aldo Carmelo Navarria e altri killer. Il giudice Anna Maggiore ripercorre le delicate fasi delle indagini a partire dalla scomparsa dell’imprenditore agrumicolo fino ai contenuti delle intercettazioni che hanno permesso d’incastrare Navarria, che uscito dal carcere dopo 26 anni, sarebbe entrato a far parte del clan Santapaola.

Gaetano Doria, Carmelo Aldo Navarria, Gianluca Presti e Stefano Prezzavento sono ritenuti i responsabili dell’omicidio aggravato e della distruzione del cadavere dell’imprenditore agrumicolo Caponnetto, scomparso l’8 Aprile del 2015. Caponnetto è stato picchiato, strangolato e infine bruciato con il metodo della garota.

A dare linfa alle indagini sono state le testimonianze incrociate rese durante gli interrogatori dai familiari della vittima. Elementi grazie ai quali per gli inquirenti è stato possibile chiudere il cerchio sulla sparizione dell’imprenditore.

PRIMA DELL’OMICIDIO – La vittima in un primo momento sarebbe stata costretta a cedere ai ricatti del boss, soprannominato “lo spazzino” per la sua ‘specializzazione’ nel far sparire i cadaveri. Il giorno della scomparsa, si reca a Belpasso dove ha un appuntamento con Navarria per il ritiro della documentazione necessaria a sbrigare la pratica d’ingaggio nella Fazenda, l’impresa agrumicola di contrada Gerbini di cui Renato Caponnetto era titolare. Il boss avrebbe mirato a ottenere un ingaggio utile per percepire la disoccupazione agricola. Quello fu l’ultimo giorno che la moglie e i figli videro Caponnetto.

Poco dopo la denuncia di sparizione, i familiari della vittima, sentiti dai Carabinieri, raccontano come Caponnetto avesse ripetutamente ricevuto minacce da Navarria di gravi ritorsioni contro l’integrità dei beni aziendali. “Fortunato mi disse – racconta il padre – che si trattava di una cosa (l’ingaggio) che dovevamo fare per forza”. Così come accadde per la moglie del killer, successivamente licenziata da Caponnetto. Quest’ultima, Patrizia Paratore, accusata anche lei dalla Procura di aver esercitato un “ruolo attivo e rilevante” nella vicenda, in un primo tempo sarebbe stata assunta nell’azienda su imposizione dello spazzino. Il boss ancor prima di uscire dal carcere avrebbe vessato Caponnetto con ricatti di ogni tipo. “Navarria dalla cella – spiega uno dei familiari agli investigatori – richiedeva anche somme di denaro, dell’importo di mille, duemila euro, che Renato avrebbe dovuto consegnare alla moglie, al fine di far fronte alle spese di viaggio che quest’ultima sosteneva per raggiungere il marito in carcere ed effettuare i colloqui con lo stesso. Ricordo che, per tali motivi, Renato, ogni qualvolta si riferiva al Navarria, soleva chiamarlo ’stu ‘nfamuni”.

Ma il piano di Navarria sfuma, perché Caponnetto, come raccontano i familiari, non voleva più avere a che fare con il boss. Ad un certo punto nega quindi l’assunzione. A fargli cambiar idea sono i Carabinieri i quali durante un controllo eseguito nella sua impresa lo avevano messo in guardia dall’eventualità d’inserire lo spazzino nella “Fazenda”. Per giustificarsi con Navarria, Caponnetto si trincera dietro il pretesto di una grave crisi economica che lo porta a licenziare anche la Paratore.

L’8 APRILE DEL 2015 CAPONNETTO SPARISCE NEL NULLA – Navarria, dopo la scomparsa dell’imprenditore, arrivò anche a inscenare una recita con i familiari di Caponnetto, forse per allontanare i sospetti sulla sua persona. Ma la famiglia della vittima non ci cascò, anzi. Le intercettazioni dei Carabinieri scattate dopo la scomparsa dell’imprenditore captarono una telefonata dello “spazzino” di Cosa nostra che esortava i parenti a recarsi nella sua villa di Belpasso “per parlare” della vicenda. Navarria, infatti, non poteva spostarsi per via dei provvedimenti giudiziari cui era sottoposto. Ma il fratello della vittima, già convinto che l’ergastolano avesse avuto un ruolo nella sparizione di Caponnetto, rifiutò ogni invito per ‘paura’, nonostante quest’ultimo avesse insistito tramite una seconda telefonata in cui chiedeva chiarimenti sul perché non fossero ancora andati. Tali “attenzioni” suscitarono l’ira e la rabbia del padre di Caponnetto, come emerge da più di un’intercettazione captata dagli inquirenti, in cui diceva “l’aveva chiamato apposta…per fare capire cheee… non ha nienteee… con noialtri…” ed ancora “……………….che ti tel… che ti telefona “‘stu bastardone”! con quale coraggio …(inc.). che se ce l’avessi nelle mani… …il cuore gli mangerei”.

I familiari della vittima sospettavano che Navarria avesse ucciso l’imprenditore. Erano consapevoli della sua caratura criminale. Poco tempo dopo la sparizione, il padre di Caponnetto non smetteva di tormentarsi pensando a quale terribile sorte fosse capitata al figlio, finito nelle mani dello spazzino: “Sarà dove me l’avranno buttato mio figlio”, diceva parlando al telefono con una conoscente. Non per niente, tentò più volte di distogliere Renato dall’incontrare il pericoloso boss e parlando con la nuora nel corso di una telefonata intercettata, si rammaricava del fatto che il figlio non lo avesse ascoltato: “Ma quante volte gliel’ho detto: non ci devi andare tu da questo …gli ho detto…. Ma non una volte, due volte, ma no ora, da prima………. e lo sapeva quanto era bastardo questo! E ci va da solo…….” Dove vai da solo?” e poi giusto giusto quelli …..a quelli che gli avevano detto magari di non andarci”.

 

 

 


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