Asili nido, la verità dell'ex |assessore ai Servizi sociali - Live Sicilia

Asili nido, la verità dell’ex |assessore ai Servizi sociali

Il titolare dell'assessorato alla Famiglia durante la scorsa consiliatura, invia una lunga nota nella quale tenta di fare chiarezza, spiegando le motivazioni che hanno portato la passata amministrazione ad effettuare determinate scelte.

la nota di Carlo Pennisi
di
5 min di lettura

CATANIA – Informazioni non esatte che potrebbero ingenerare confusione. Ha deciso di parlare per mettere i puntini sulle i l’ex assessore ai Servizi sociali della giunta Stancanelli, Carlo Pennisi, che, sulla vicenda della presunta chiusura degli asili, tenta di fare chiarezza, spiegando la motivazione che ha portato la passata amministrazione ad effettuare determinate scelte ed evidenziando come nessuno abbia mai avuto intenzione di chiudere un servizio così importante. Di seguito quanto diffuso dallo stesso professor Pennisi.

“Cessato l’allarme sull’apertura degli asili nido catanesi ritengo opportuno rendere all’opinione pubblica alcune informazioni (già note agli addetti ai lavori) per mettere a fuoco conto alcune delle questioni in gioco. Gli asili nido catanesi sono stati organizzati come un servizio scolastico e, sino allo scorso anno, nell’ambito delle responsabilità della Direzione politiche scolastiche. A maggio di quest’anno, in seguito all’approvazione del Piano di Rientro da parte del Consiglio comunale, la responsabilità gestionale è stata trasferita alla Direzione politiche sociali. Il senso di questo trasferimento si coglie avendo chiaro come, sin dai primi anni ’80, gli asili nido siano stati concepiti ed organizzati a Catania, appunto come scuole pre-elementari. Tale modello può essere più o meno condivisibile, più o meno opportuno ed efficiente, a seconda dei contesti, ma nel nostro, pur con un servizio eccellente, ha prodotto l’effetto espresso dai numeri che, al momento del Piano di Rientro, ci si è trovati davanti.

Infatti, a fronte di una spesa di quasi dieci milioni (€ 5.525.241 per il personale interno, ossia 143 educatori a cui spetta una ulteriore indennità mensile di € 630, per dieci mesi l’anno, e 16 coordinatori a cui spetta una ulteriore indennità di rotazione annuale di un centinaio di euro mensili, e € 2.392.800 per 99 ausiliari esterni, le cooperative) i bambini che ne usufruiscono sono stati 566, rispetto ad una popolazione catanese in quella fascia di età di circa 15.000 potenziali utenti; con un costo giornaliero di oltre 34 mila euro. Il risultato non è solo la limitatezza dell’offerta rispetto alla fascia di popolazione, ma anche il fatto che a fronte di una contribuzione media delle famiglie di € 51 al mese (ossia circa 39.000 euro annuali complessivi), ciascun bambino viene a costare al Comune annualmente poco più di diecimila euro: spesa che si giustificherebbe soltanto se si fosse riusciti ad ottenere una copertura dell’utenza potenziale ben maggiore di quella attuale.

In queste condizioni, la stringente normativa attraverso la quale è stato possibile accedere al Piano di Rientro imponeva di portare al 36 % la contribuzione da parte delle famiglie al costo di questo servizio. Ossia, ciascuna famiglia avrebbe dovuto sborsare mensilmente intorno ai 570 euro. E questo non a fronte di “tagli” specifici, ma di una riduzione del 7% del budget complessivo dell’intera Direzione (come per tutte le Direzioni). Le strade per affrontare la questione erano veramente poche, dato che nessuno pensava né la ridicolaggine di chiudere gli asili nido, né di chiedere alle famiglie catanesi una contribuzione di quel livello (gli asili privati hanno prezzi ben inferiori).

La strada che si è allora prefigurata ad operatori ed addetti del settore, in una serie di sereni incontri pubblici e di riunioni tecniche, divideva la soluzione in tre passaggi e partiva dalla condivisione della necessità di rivedere radicalmente un servizio che non riusciva a sviluppare una offerta adeguata alla platea potenziale di utenti. Il primo passaggio è consistito nella assegnazione di questo servizio all’ambito delle politiche familiari, in modo che fosse possibile integrarne l’offerta nell’ambito dei servizi di conciliazione e di sostegno alla famiglia, piuttosto che un servizio “a domanda individuale” (questo passaggio è compreso nel Piano di Rientro ed il “taglio” che taluno vi legge è semplicemente lo spostamento della posta di bilancio da una Direzione ad un’altra). Il secondo passaggio – che immagino simile a quello realizzato dall’attuale amministrazione – avrebbe contemperato, per quest’anno, le esigenze del Piano di Rientro con una integrazione da parte del Comune della contribuzione da parte delle famiglie meno abbienti per raggiungere il tetto fissato dalla legge (insieme al rilascio obbligatorio dell’unico dei dieci asili in affitto). Contemporaneamente, questo il terzo passo, si sarebbe aperta una istruttoria (per la quale si erano già prefigurati i termini con i funzionari regionali) con tutte le parti in gioco, volta a definire un servizio che, valorizzando un personale altamente qualificato, in vista del prossimo anno, permettesse di allargare e variegare l’offerta catanese di “asili nido” .

Gli strumenti di questo allargamento, con il quale il Comune, grazie ad una più vasta utenza (stiamo parlando di 15.000 bambini) sarebbe riuscito ad ottenere la gran parte risorse necessarie a coprire il costo delle cooperative di servizi, sono molteplici ed andavano ”lavorati” con la collaborazione di tutti per renderli coerenti con le politiche familiari dell’amministrazione e gli altri suoi servizi alle famiglie. Nell’ambito del Regolamento Unico dei servizi sociali (vanamente sollecitato al precedente Consiglio), che ne avrebbe consentito una fruizione con criteri di accesso controllabili, lo scenario finale era rappresentato da un registro dell’amministrazione di strutture comunali e private (o uno strumento equivalente), accreditate ai sensi delle normative nazionali e regionali, in grado di offrire servizi compositi che, oltre agli attuali, estendessero le sperimentazioni in corso, dagli asili aziendali, ai “micronidi”, alle “madri di condominio”, etc.. Si sarebbe trattato di strutturare e far funzionare una serie definita di accordi con le grandi collettività catanesi (Università, Asp, Aziende Ospedaliere, Inps, Uffici giudiziari, etc.) per offrire alle madri e ai padri che vi lavorano soluzioni flessibili e da tempo attese. In questa prospettiva, si sarebbero potuti mobilitare i finanziamenti del “Piano nazionale di azione e inclusione” e tutti quei finanziamenti (come i residui della l.n.328/200) che presuppongono una specifica progettazione di tipo europeo (ovvero un distintivo carattere innovativo ed una rendicontabilità analitica) e si sarebbero potuti coinvolgere alcuni istituti educativo assistenziali che già si erano resi disponibili.

E’ facile allora rendersi conto che la gravità dei problemi che i catanesi devono affrontare, ad esempio sugli asili nido, richiede in primo luogo una loro condivisa definizione e la diffusa consapevolezza che non è più possibile percorrere le soluzioni del passato, neanche provando a spostare in avanti le questioni, in attesa di non si sa cosa. Condivisione e consapevolezza che non è possibile ritardare, su questi temi, con polemiche, facili capri espiatori e illusioni. Le soluzioni dovranno essere costruite dai catanesi, dagli operatori e dai tecnici che quotidianamente affrontano questi problemi. L’amministrazione può solo assecondare tale innovazione, accompagnarla per renderla compatibile con i diversi contesti, attenta a garantire i cittadini sulla sostenibilità dei servizi, sulla loro qualità e sulla equità dell’accesso alla loro fruizione”.

Carlo Pennisi

 


Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI