di VINCENZO IURILLO (Il Fatto Quotidiano) “Favorire chi assicura posti di lavoro sul territorio non è di per sé un reato”. E’ una delle considerazioni con cui anche il Riesame di Napoli, come il gip di Benevento, ha detto no all’arresto del presidente del Palermo calcio Maurizio Zamparini. L’imprenditore della grande distribuzione è indagato per truffa e corruzione nell’ambito di una inchiesta della procura di Benevento sulla costruzione dell’ipermercato “I Sanniti”. “Oliata”, secondo il pm Antonio Clemente, anche dalla promessa degli uomini di fiducia di Zamparini di far assumere persone indicate dai politici e da altri influenti personaggi in cambio di un’accelerazione alle pratiche amministrative e burocratiche del comune di Benevento. I giudici dell’ottava sezione penale del Riesame – presidente Pierluigi Di Stefano, a latere Maria Grassi e Daniela Cortucci – hanno impiegato circa dieci settimane per depositare le sei pagine di motivazioni del rigetto dell’appello proposto dal pm, che ha insistito nel chiedere misure cautelari per dieci persone tra i quali Zamparini, difeso dall’avvocato Umberto Del Basso De Caro. Si tratta di dirigenti comunali, tecnici collaudatori, persone di fiducia dell’imprenditore friulano che cinque anni fa conducevano le trattative sul territorio per sbloccare il progetto, e politici vicini all’Udeur all’epoca dell’avvio dei lavori, tra i quali l’assessore Aldo Damiano, nel 2006 titolare della delega all’Urbanistica, e ancora oggi componente della giunta del sindaco Fausto Pepe.
L’indagine lambisce anche il leader dell’Udeur Clemente Mastella e la moglie Sandra Lonardo, indagati per corruzione per un bonifico sospetto di Zamparini ad ‘Iside Nova’, l’associazione in quel periodo presieduta dalla signora Mastella. Ma per i coniugi Mastella il pm non ha chiesto misure cautelari.
In ogni caso l’inchiesta di fatto è conclusa. Quasi certamente la procura non farà ricorso in Cassazione per guadagnare tempo nel predisporre gli atti per un avviso di concluse indagini propedeutico a diverse richieste di rinvio a giudizio. Il Riesame ha ritenuto insussistenti i gravi indizi di reato e il pericolo di reiterazione delle presunte condotte illecite. I giudici in particolare affermano che “un qualsiasi ente territoriale, a fronte di un investimento che porti una nuova attività utile per la comunità, e soprattutto in aree come quella campana, una disponibilità di posti di lavoro, non può che avere un atteggiamento di particolare favore rispetto ad una tale iniziativa”. Dunque, attivarsi per ridurre gli oneri per Zamparini e “non è di per sé una condizione che possa far ipotizzare un generale atteggiamento di ‘abuso’ ma è di solito esattamente l’opposto”. Ed ancora: “Il fatto che il privato garantisca all’ente pubblico numerose assunzioni nella zona è cosa normale ed è anzi finalità che l’ente giustamente persegue, giustificando così la propria disponibilità a superare ostacoli pratici di vario genere”. Però, se la scelta delle assunzioni viene “affidata privatamente, per quote, ad amministratori che ne fanno un uso clientelare, è cosa illecita”, precisano i magistrati. Aggiungendo però che comunque questa pratica “non colora di per sé di illiceità la complessiva vicenda imprenditoriale ed amministrativa”.
Nel merito, i giudici smontano le imputazioni di truffa, che secondo l’accusa sarebbe consistita nel mancato rispetto degli impegni presi da Zamparini, tra cui la cessione di aree per la realizzazione di un parco fluviale e il mancato abbattimento di tre capannoni abusivi (proprio in questi giorni il Tar ha sentenziato a favore della demolizione), perché a loro parere questi impegni non erano stati assunti nella fase iniziale della richiesta della licenza e dunque non hanno influito sul rilascio dei permessi. Quanto alle accuse di corruzione, il Riesame ribadisce quanto valutato dal gip: la captazione di una conversazione di un collaboratore di Zamparini che definiva “una prassi aziendale” l’offerta di posti di lavoro nei supermercati ai politici non è sufficiente “per contrastare una affermazione di singolarità della vicenda”. In parole povere, secondo i giudici la maggior parte dei fatti contestati è riconducibile a singoli episodi, non esiste un ‘metodo Zamparini’. “Ed è corretto – concludono – ritenere che il decorso di cinque anni dall’ultimo fatto contestato non consenta di fondare un giudizio di pericolosità” degli indagati.