Il viaggio nel Pd siciliano, per arrivare al partito che tutti conosciamo oggi, parte nelle settimane che hanno preceduto domenica 25 ottobre 2009, il giorno delle primarie regionali. Tre, i candidati che si erano sfidati nei giorni precedenti. Da una parte Bernardo Mattarella, ‘accusato’ di essere sostenuto da un Mirello Crisafulli troppo vicino a Cuffaro, per i gusti del Pd. Dall’altra Giuseppe Lumia, sostenuto da Antonello Cracolici, che apriva all’ipotesi di un dialogo con Lombardo. In mezzo, Giuseppe Lupo, sostenuto da Rita Borsellino, che proponeva uno slogan inequivocabile: “Né con Cuffaro, né con Lombardo”.
Vinse la linea di Lupo, attuale segretario regionale del partito. Ma iniziarono subito i problemi, col preoccupante rischio che, proprio come i berlusconiani, anche i democratici a sala d’Ercole si dividessero, dando vita a un ‘Pd Sicilia’. Rischio rafforzato dal fatto che alla prima assemblea regionale (quella in cui tecnicamente fu votata la fiducia a Lupo), appena mezz’ora dopo l’apertura dei lavori, Lumia, insieme a 57 delegati (tra cui il capogruppo all’Ars Antonello Cracolici) si alzarono e andarono via. La conseguenza fu una dichiarazione forte da parte di Lupo, che chiese allo stesso Cracolici di “rimettere il suo mandato a disposizione del partito”.
Da allora, di acqua sotto i ponti ne è passata tanta. Di certo, il Pd all’Ars, pur tra mille dissapori, è riuscito a restare unito, così come Cracolici è rimasto al suo posto. Ma la linea di Lupo non ha retto più di qualche settimana. Il rischio di una reale frattura del partito non poteva essere corso e anche da Roma sono arrivate indicazioni in merito a una sintesi politica tra la posizione dei vincitori delle primarie e l’apertura al dialogo con Lombardo fortemente sponsorizzata da Lumia e Cracolici. Passò soltanto qualche mese prima che l’ipotesi di dialogo nei confronti di Lombardo si trasformasse in dichiarazioni sempre più concrete. Appena due mesi dopo, proprio Cracolici sosteneva che “semmai il Pd fosse entrato in giunta, avrebbe dovuto farlo con assessori politici”.
Tra i ‘no’ e gli assessori politici, la sintesi è stata racchiusa in una sola parola, riforma, usata come panacea di tutti i mali. È in nome delle riforme che il Pd ha cominciato a votare gli atti del governo. Dapprima col Piano Casa. Poi con la Riforma dei rifiuti. E poi arrivò la finanziaria, troppo grande, per potersi nascondere dietro la formula del “votiamo le riforme per il bene dei siciliani”. Dunque Cracolici cominciò a ricordare sempre più spesso al destinatario, tramite comunicati e dichiarazioni alla stampa, che “il Pd non era l’Avis”. Ma Lupo non ci stava. Tra quella richiesta esplicita avanzata dall’area Lumia e il secco ‘no’ che pioveva ad ogni occasione utile dai suoi sostenitori – capitanati da Rita Borsellino – la sintesi era davvero complessa. Eppure una chiave si trovò: per il Pd era impossibile entrare al governo senza quell’unico passo che, si pensava, avrebbe potuto mettere d’accordo tutti, cioè che Lombardo ‘divorziasse’ dal premier e ritirasse i posti di sottogoverno occupati dall’Mpa.
Qualcosa si mosse, tante promesse furono fatte, la dirigenza del Pd apparve quasi convinta. Così, mentre a palazzo si facevano prove tecniche di giunta, dai ‘dissidenti’ iniziavano già dalla scorsa primavera le prime proposte di referendum, per conoscere il parere della base sull’ingresso in giunta. Si convocarono decine di assemblee, ma di referendum neanche l’ombra. “Aspettiamo la proposta di Lombardo – dichiarava Lupo a maggio – poi ci confronteremo con gli iscritti”. Ma il confronto con gli iscritti non è arrivato e l’estate è passata, pur fra le polemiche.
Settembre fu il mese della festa democratica del Pd, a Palermo. Di fatto, è lì, durante un dibattito pubblico tra il governatore e il segretario Lupo, che è nato il governo Lombardo quater, la giunta dei tecnici da quasi tre milioni di euro l’anno. Ed è così che il 27 settembre l’assemblea del partito, con ventisei voti favorevoli, due contrari e sette astenuti, ha approvato la relazione di Lupo sull’ingresso in giunta. Nato il Lombardo quater – siamo ad ottobre 2010 – i malumori sono cresciuti a dismisura, proprio perché, oltre i dirigenti contrari, una fetta sempre più consistente della base ha detto di essersi sentita tradita.
E arriviamo ai nostri giorni, ai referendum di Enna, Gela, Caltagirone. Agli scontri con Bianco. Insomma, per il Pd – e per il suo segretario – è sempre più complicato tenere le fila di una comunità politica al cui interno convivono anime profondamente diverse e su cui aleggia il rischio di possibili pesanti risvolti nell’inchiesta catanese, che vede il governatore indagato per concorso esterno in associazione mafiosa.