Il momento più prezioso per un cronista si illumina quando l’intervista è appena finita. L’interlocutore si rilassa e concede qualcosa in più, perché si sveste del suo ruolo. Torna soltanto umano. In uno di questi frangenti, Massimo Russo mi ha detto: “Credi nel destino? Io sì. Credo che certi fili possano riannodarsi per tentare di seminare il bene dove c’è stato il male”. Parlava di Lucia Borsellino, figlia di Paolo, ora dirigente e pezzo importante della macchina amministrativa della Sanità, una mansione accettata con fatica e con lo spirito pubblico di “civil servant” che è il marchio di fabbrica di quella benedetta famiglia.
Un cronista sa riconoscere la commozione vera. Capisce perfettamente se l’uomo che ha davanti ha appena offerto un barlume di cuore o sta tentando la seduzione di una scena madre… C’era commozione autentica negli occhi di Massimo Russo. E quando un politico decide di scendere dall’empireo del potere per scoprirsi fragile, è giusto concedergli rispetto e stima personale. Senza che ciò ovviamente offuschi il necessario senso critico.
Massimo Russo è un uomo disperatamente solo nel suo lavoro, sottoposto a una pressione gigantesca. Chi scrive è inquietato dalla sua riforma, perché gli effetti contemporanei portano al pateracchio più che alla soluzione dei problemi. Ma il rovello è altrove e coincide con una domanda: possiamo permetterci, in Sicilia, con l’esperienza che abbiamo, che una persona resti ancora più sola? La riduzione della scorta non accorcia semplicemente la medesima in quantità e qualità, è anche un segnale di abbandono, in buonafede, pensiamo. Ma è uno schiaffo grave – ha ragione Lombardo – in un momento delicato.
La solitudine è una brutta bestia per tutti. La solitudine siciliana, sovente, ha avuto riflessi sanguinosi. Tra la bruttezza e il pericolo ce la sentiamo davvero di esibire l’animo lieve, o la vis polemica e sfotticchiante che abbiamo colto in alcuni commenti? Non abbiamo avuto già abbastanza torto?
Massimo Russo è un uomo isolato, in parte per un carattere non semplice, in parte per oggettiva difficoltà e asperità del suo incarico, senza contare il passato. Vogliamo che questa solitudine si approfondisca? E parliamo dell’uomo, appunto. Dell’uomo che vive sotto la tonaca assessoriale. Dell’uomo che sa ancora commuoversi, nonostante sia diventato politico, quando racconta la storia della figlia di un magistrato ucciso. Assassinato perché era solo.