PALERMO – A scanso di equivoci, lo dico subito: il Palermo di Carpi sembrava peggiore del peggior Palermo di Gattuso: molle e senza idee e con l’Hernandez di sempre, cioè più molle ancora e senza idea alcuna di quel che significhi fare la prima punta.
Detto questo, liberatomi di questo rospo che mi rodeva dentro, oggi, subito dopo l’1-0 subito a Carpi, mi vien da ripensare a quei sapientoni che qualche tempo fa andavano dicendo a destra e a manca, e con l’aria di chi la sa lunga, che il Palermo godeva dei favori degli arbitri. E che aggiungevano – con ineffabile sicumera – che era solo per questo che il Palermo di Iachini aveva risalito la china e la classifica.
Ho detto sopra: “sembrava”, imperfetto indicativo del verbo “sembrare”, volendomi riferire alla insulsa partita che stava disputando il Palermo contro un avversario solo volenteroso. E poco o nulla altro. Ho detto “sembrava” perché, pur giocando così male, il Palermo non aveva mai rischiato e Ujkani non si era neanche dovuto sporcare i guantoni. La partita era una vera lagna, uno spettacolo (si fa per dire) da categorie (molto) inferiori, tipo sposati contro ammogliati o giù di lì. Il primo tempo, specialmente, era stato un vero pianto. Da entrambe le parti, ma il Carpi almeno ci metteva la grinta, la voglia di giocare e, magari, provare di vincere contro la capolista. Quest’ultima, invece, sembrava scesa in campo solo per… contratto, tanta era la sua sufficienza, la sua supponenza, la sua totale mancanza di cattiveria agonistica, senza la quale, nel calcio in generale ed ancor di più in quello di serie B, è difficile, se non impossibile, fare risultato.
Così, quando al 25’ della ripresa il guardalinee ha visto il fallo di mani di Drapelà su una concitata azione dei biancorossi emiliani (una delle tante della partita, che come cominciavano, così finivano, cioè con un nulla di fatto) e l’arbitro Candussio di Cervignano del Friuli ha decretato il penalty, ho subito pensato: la partita finisce qui, perché questo Palermo non è in grado di ribaltare il risultato, anche se Iachini, nel tentativo di dare una scossa ai suoi uomini, sin dal 7’ della ripresa aveva inserito Lafferty al posto di uno spento Ngoyi. Insomma, Iachini, che sta sempre allerta com’è giusto che sia, aveva capito che quel 3-5-2, che gli aveva dato tante soddisfazioni, andava corretto in un più offensivo 3-4-3, perché i biancorossi di Vecchi facevano un pressing asfissiante, menavano calci all’impazzata in difesa, a centrocampo e all’attacco e cominciava a temere che un contropiede qualunque, anche uno solo, potesse rovinargli il Natale. Dentro Lafferty, dunque, e fuori un inutile Ngoyi, che è lento di suo e ieri, ogni volta che toccava palla, era letteralmente asfissiato dalla corsa e dal pressing di almeno un paio di avversari. Insomma, male che vada – avrà pensato Iachini – li tengo un po’ lontani dalla nostra area e vediamo se almeno il pareggio lo porto a casa. Ragionamento logico ma poco realistico, visto che, anche con Lafferty, continuava a latitare del tutto la manovra d’attacco del Palermo, fatti salvi i generosi tentativi di Belotti (mai supportato in alcun modo da Hernandez) che si batteva al solito come un leone per finire sempre contro il muro biancorosso.
Sembrava, quindi, scontato lo 0-0 finale, che comunque scontentava più il Palermo, impegnato a conservare la leadership della classifica, che il Carpi. Tutto ciò finché una palla galeotta, in una mischia come tante in area rosanero, non sbatteva contro un braccio un po’ alto di Drapelà: tutto per caso, nulla per averlo voluto. Ma il guardalinee, autentico occhio di lince, sventolava la sua bandierina, così che l’arbitro, come detto, fischiava il calcio di rigore. E, dovendo come da regolamento, ammonire il già Drapelà, lo mandava fuori dal campo. Apriti cielo: Iachini in panchina sembrava un leone in gabbia: il rigore dubbio e il resto della partita in dieci, lo mandavano in tilt, lui che finora aveva sempre tenuto a freno i suoi nervi e mai nessun arbitro lo aveva neanche ammonito verbalmente. Rigore trasformato, 1-0 per il Carpi e, per il Palermo, l’obbligo di tentare in 10 quello che non gli era riuscito neanche in 11: cercare di puntare l’area avversaria, magari entrarvi e – perfino – tirare in porta. Surreale! Anche perché non era certo finito lì il sabato d’inferno di Munoz & Co.: si faceva buttar fuori anche il (solitamente) mite Francoforte per reiterate, vibrate proteste e, in chiusura, anche Milanovic per una testata (manata?) in faccia ad un avversario. Senza dimenticare che, per le sue plateali proteste, in seguito ad un fallo subito da un giocatore rosa e non sanzionato, si era fatto mandar via persino Perinetti, di solito un signore, di certo un galantuomo. Ma doveva esser anche lui fuori dai gangheri per arrivare a tanto. Certo è che, subissato di fischi, mentre guadagnava la via degli spogliatoi, passando sotto la tribuna, si è inchinato alla folla vociante, cavandosi il cappello dalla testa. Sembrava D’Artagnan, che, dopo averlo battuto in duello, sbeffeggiava l’avversario.
Arbitro mediocre come il gioco offerto dalle due squadre ma il risultato, alla resa dei conti, è tutt’altro che clamoroso, perché se si gioca così male, pur essendo chiaramente superiori sotto il profilo tecnico, non hai il diritto di pretendere di più e di meglio. Insomma, il Palermo a Carpi ha avuto quel che si è meritato, cioè meno di niente, perché anche il pareggio sarebbe stato tutt’altro che guadagnato. Così com’è certo che l’arbitraggio non lo ha aiutato, visto che il signor Candussio è stato prontissimo ad ammonire i rosa e lentissimo a fare altrettanto con i padroni di casa. Ha cominciato solo alla fine, quando i giochi erano praticamente fatti. Ed è certo, altresì, quello che lamentava alla fine, ai microfoni di Sky un Iachini, torvo in volto, ma composto e pacato: “Ci ha condannati un episodio che, guarda caso, somiglia moltissimo a quello che ci condannò all’ultimo minuto a Lanciano, solo che lì né arbitro né guardalinee segnalarono il fallo di mani di Turchi!”.
Ma anche nel “tutto peggio” di ieri, qualcosa di “meglio” c’è stato: la piccola (circa trecento unità) pattuglia di tifosi rosanero in curva, con tanto di bandiere e striscioni: su uno c’era scritto: “P:M. Di Matteo, siamo con te” (la cosa più bella vista ieri nel piccolo, vezzoso stadio emiliano), sull’altro : “Cuori emigranti”. Erano solo trecento ma sembravano mille. All’inizio. A fine partita, li ho visti ripiegare gli striscioni e ammainare le bandiere. Loro, vivendo lontani dalla loro città, rivedono la squadra del cuore solo un paio di volte all’anno: anche solo per questo, meriterebbero di più. Molto di più.