CATANIA – Una breve cerimonia funebre solo per i familiari, ma non in chiesa. Praticamente, sabato, la salma di Enzo Timonieri – ammazzato il 12 febbraio e il cui cadavere è stato ritrovato il 4 giugno sepolto nella sabbia di Vaccarizzo – è stata portata da casa direttamente al cimitero. Il Questore di Catania ha “imposto prescrizioni per la celebrazione delle esequie” per motivi di “ordine pubblico”, vietando “cortei e simili manifestazioni connesse”. Ma queste non sono bastate perché appena la bara è uscita di casa c’è stato una folla ad attenderlo, con palloncini e applausi, purtroppo in perfetto stile “Casamonica”.
Il 26enne, conosciuto come “Caterina” a San Cristoforo, è stato ucciso con “tre colpi di pistola”. Un elemento che è emerso anche dall’autopsia svolta giovedì dai due medici legali nominati dalla Procura di Catania. Esame autoptico a cui ha partecipato anche il consulente di parte della famiglia Timonieri, assistita dall’avvocato Francesco Silluzio.
E quindi c’è un primo riscontro a quanto hanno raccontato i fratelli Michael e Ninni Sanfilippo, rei confessi del delitto e aspiranti collaboratori di giustizia. Per legge lo status di “pentito” si acquisisce dopo un periodo di “prova” di alcuni mesi. Intanto, però, è scattato il programma di protezione. Così come era accaduto lo scorso agosto, quando il fratello Martino ha raccontato dettagli precisi sulla sparatoria accaduta la scorsa estate al viale Grimaldi 18. Conflitto a fuoco, tra Cursoti-Milanesi e Cappello, sfociato con l’omicidio di Enzo Scalia e Luciano D’Alessandro.
È dopo quella guerra armata che i due fratelli Sanfilippo decidono di allontanarsi dai Cursoti-Milanesi (non è certo facile avere un fratello pentito, ndr) e avvicinarsi al gruppo dei Nizza del clan Santapaola-Ercolano di cui fa parte il cugino Sam Salvatore Privitera. Quest’ultimo, insieme a Natalino Nizza (figlio di Giovanni ‘banana, ndr), è stato fermato dai carabinieri per essere uno dei mandanti dell’omicidio.
L’inchiesta dei carabinieri non si è di certo fermata. Ci sono anche altre “vicende collegate” da chiarire. E che potrebbero portare a nuovi filoni investigativi.
Alcuni giorni prima dell’omicidio, nei primi giorni di febbraio, ci sarebbe stata una sparatoria al viale Mario Rapisardi. Il protagonista sarebbe stata la vittima. Enzo Timonieri – da quello che emerge dalle due ordinanze emesse dal gip di Venezia e dal giudice Pietrò Currò di Catania – era solito girare armato.
È necessario fare una premessa. Tra il gruppo di Sam Privitera (ritenuto il referente dei Nizza a Librino) e quello di San Cocimo che fa riferimento a Tony Trentuno, genero del boss Lorenzo Saitta, lo scheletro ci sarebbero forti tensioni, nonostante il comune legame alla famiglia mafiosa Santapaola-Ercolano.
Timonieri – vicino ai Nizza – avrebbe avvicinato uno dei carusi del genero di Lorenzo Saitta e gli avrebbe intimato di non passare più dal Viale. In un primo momento il ragazzo avrebbe eseguito le direttive, ma poi sarebbe tornato con il supporto armato. A quel punto sarebbe partito il fuoco, da una parte Timonieri, e dall’altra i “picciotti” di San Cocimo che avrebbero indirizzato le pistolettate a Sam Privitera e il figlio di un uomo d’onore di Catania, all’ergastolo per omicidio. I due avrebbero fatto una manovra per scivolare con lo scooter e quindi evitare le pallottole, ma sarebbero rimasti feriti. E ci sarebbe – infatti – il riscontro delle cure ospedaliere ricevute.
Poco dopo la scomparsa di Enzo Timonieri, i familiari hanno anche ipotizzato che fossero stati quelli di “San Cocimo” a fare fuori “Caterina”. E infatti il fratello della vittima sarebbe andato a chiedere spiegazioni direttamente alla moglie dello ‘scheletro. Ma lady Saitta avrebbe precisato – sintetizza il gip analizzando le intercettazioni – “che se fosse stata loro intenzione di uccidere Vincenzo, non avrebbero risparmiato il fratello (che si auto definisce “pazzo”), perché avrebbe costituito un pericolo”. Ci sono ancora diverse pagine “nere” da scrivere, attorno a questa lupara bianca.