Oggi Paolo Borsellino avrebbe compiuto settant’anni più uno. Siccome tanta retorica è stata spremuta sulla sua iniqua morte, mi piace pensare alla sua rinascita. Lo immagino come un ironico e simpatico Bambinello attempato, con i baffi e la sigaretta smezzata, da mettere nel presepe allo scoccare della mezzanotte della speranza. Blasfemia? No, tenerezza. Voglia di accendere una candela per il giudice Borsellino e di cantare una canzone felice per lui, che parli di nascita, non più di morte.
E’ stato il torto più atroce fatto a Paolo – non l’ho conosciuto, ma mi viene di dargli del tu come a una persona cara – glorificarlo per la sua morte, avergli dato ragione solo sulle macerie fumanti ed evidenti di via D’Amelio. Invece, Paolo, eri bello perché eri vivo. Sei stato bello perché sei stato vivo. Sei bello, perché sei vivo. Non oso pensare come staresti oggi, in un mondo di politici felloni e Bunga Bunga che si spacciano per etica pubblica e accettabile dell’orgia. Non ho il titolo per dire come starebbe un uomo dolce che non c’è più. Posso azzardare per quello che so, per le frasi che hai lasciato. Penso, parecchio a disagio. E forse, se fossi rimasto tra di noi, avrebbero insultato anche te. Pure tu, nel novero dei “pm toghe rosse che ce l’hanno col santissimo potere”. Ma sei morto, è il tuo scudo. E’ la nostra ipocrisia.
Come ho scritto più volte e come torno a scrivere nella mia letterina privata (e lo scriverò ancora, fino a quando non si stuferà e mi toglierà il saluto), una delle cose migliori che mi siano capitate è il rapporto di conoscenza e di discreta amicizia con Mafredi, figlio di Paolo. Manfredi non ama che si parli di lui. Ma questa è una lettera privata e ci vuole la verità. Al primo incontro, a prima occhiata, mi sono subito reso conto di trovarmi davanti al grande figlio di un grande padre. Non uno acquattato nell’ombra del genitore. Un uomo capace di vivere con responsabilità e forza, secondo un percorso individuale senza compromessi o zone grigie, perché così gli era stato insegnato. E’ stato allora che ho rimpianto di più il giudice Borsellino. Non solo come giudice, anche come padre. Se conosci i suoi figli, comprendi davvero quale sia la mutilazione che via D’Amelio ha inferto al loro amore e alla gioia di tutto il mondo. Paolo Borsellino era uno splendido uomo. Ci ha lasciato due volte orfani: come servitore dello Stato, come persona che si può incontrare per strada, per imparare ad essere migliori.
Paolo Borsellino oggi rinasce, a dispetto di noi che lo sappiamo morto. C’è sempre un sepolcro scoperchiato nella memoria, quando qualcuno rimane tenacemente avvinto al cuore di coloro che l’hanno accolto e cullato. Purtroppo, siamo rimasti piccoli piccoli. Ripetiamo, tra uomini, il solito umanissimo errore dalla notte dei tempi. Ci presentiamo con crisantemi che dovrebbero essere candele accese. Piangiamo tra i morti l’amore che è vivo.