A casa Camilleri | con l'amico ritrovato - Live Sicilia

A casa Camilleri | con l’amico ritrovato

Andrea Camilleri abbraccia il suo miglior amico Federico Hoefer

Lo scrittore empedoclino insieme al suo miglior amico dopo mezzo secolo.

È successo. Dopo 50 anni Andrea e Federico si sono incontrati. Si erano separati quando erano poco più che adolescenti nella natia Porto Empedocle. All’epoca erano giovani scanzonati che a furia di fare andata e ritorno da un capo all’altro della via Roma, avevano spardato le basole della cittadina agrigentina. Ma né Andrea Camilleri, né Federico Hoefer si sono mai dimenticati l’uno dell’altro. C’è voluto mezzo secolo perché lo scrittore empedoclino e il suo migliore amico Hoefer potessero tornare ad abbracciarsi senza quel ruffiano del telefono che si mettesse in mezzo.

Tutte le settimane, o l’uno o l’altro hanno alzato la cornetta mantenendo un’amicizia che, seppure a distanza, ha custodito un volersi bene nobile e puro. “L’interessante è sentirsi”, aveva detto Hoefer. “Anche se prima dovevo fare i conti con quella segreteria rompiballe”. Ma la voglia disperata di riabbracciare lo scrittore empedoclino era davvero tanta. Federico Hoefer, il miglior amico di Andrea Camilleri ce l’aveva trasmessa durante le nostre lunghe chiacchierate in casa sua che hanno dato vita ad un filo narrativo “Hoefer racconta Camilleri – Gli anni a Porto Empedocle”, uscito in Italia lo scorso giugno per Dario Flaccovio Editore.

“Fefé ccà si?” lo accoglie Camilleri che oggi purtroppo non vede più, nel suo studio mentre spegne l’ennesima sigaretta. “Ccà sugnu, Andrè”, lo abbraccia Federico. È un momento tutto loro. Che si uniscono in un commosso abbraccio che odora ancora di mare e salsedine. “Perché nel nostro sangue scorre un misto di alghe e muschio marino”, ci aveva raccontato Hoefer che dolcemente precisa ad Andrea di preferire il dialetto. “Quannu parru cu tia preferiscu u marinisi, e no u vigatesi”. E giù una serie di ricordi, tra una lacrima da asciugare e un sorriso talvolta amaro da condividere su quella Porto Empedocle così diversa.

“Ma i graniti di Amedeo un su cchiù chiddi di na vota, André”, rievoca Hoefer lasciandosi coccolare dai ricordi di cui entrambi hanno fatto memoria. Li lasciamo da soli, mentre dal quarto piano di via Asiago, a Roma, il sole tramonta dopo una lunga e afosa giornata di fine giugno.

Nostra complice perché questo incontro avvenisse è la più piccola delle figlie di Camilleri, Mariolina. Assomiglia tanto a mamma, quando era più giovane di lei, la signora Rosetta dello Siesto, che ci aspetta, al nostro arrivo, sul pianerottolo di casa. Ci allarga le braccia appena usciti dall’ascensore per un caloroso benvenuto.

Le ore si sciolgono tra risate e ricordi, a cena, nel salotto di casa Camilleri dove Andreuccio e Fefé – è così che si chiamavano tra loro quando erano giovani – siedono l’uno accanto all’altro. Si confidano. Hanno tanto da dirsi. Insieme a loro, anche le mogli. E talvolta coinvolgono pure noi impegnati in un altro angolo della stanza da pranzo a conversare con le donne di Andrea: le altre due figlie Elisabetta, Andreina e la deliziosa Matilda di cui Camilleri è bisnonno. Con noi anche Laura, la figlia di Fefè con il marito Emanuele e il figlio Mattia.

Andrea e Fefè parlano. “Cose nostre”, ci fanno sapere. Ma anche di pasta con le sarde, biscotti, arancini. Di quella volta quando a Racalmuto nessuno volle indicare al Maestro – ancora sconosciuto al grande pubblico – dove fosse Leonardo Sciascia col quale aveva un appuntamento, ma non lo aveva trovato in casa. O della littorina che deragliava dolcemente sulla montagna, “tanto andava lenta, che molti saltavano giù dal finestrino”, dei Fogli di Gela e delle poesie, di quel dicembre quando per la prima volta con Lietta, la nipote di Luigi Pirandello, fecero gli arancini, del nuovo sindaco di Porto Empedocle, di quando “mi fici zitu co computer”, ride Camilleri.

“Stava sulla mia scrivania – racconta con la lentezza ed il fascino che lo contraddistinguono -. Per anni ci siamo guardati negli occhi e dopo ci siamo sposati”. “Io – gli dice Fefè – non mi sono lasciato sedurre dal progresso. Utilizzo ancora la Lettera22”. E ricorda quando a Gela venne Teresa Mannino ad intervistarlo per uno speciale su Rai Uno, dedicato al 90esimo del Sommo. Fu Camilleri a indicare all’attrice che a Gela viveva il suo migliore amico al quale la Mannino fece pervenire una scatola di carta carbone perché “a Gela unni trovi chiù, André”.

“Ma i Monopoli di Stato te la danno la percentuale? Cu tutti sti sigaretti che ti fumi…”. Hoefer è felice mentre chiacchiera con Camilleri. Poi gli sottrae il pacchetto di Moretti rosse. Lo odora. “Anch’io sono stato un grande fumatore – rivolgendosi a noi -, poi ho smesso ma ogni tanto odoro le sigarette. Mi fa bene”, intanto che Camilleri ne ha già acceso un’altra in quella biblioteca mista a odore di libri e fumo. “Ma quanti libri ci sono in questa casa?”, gli chiediamo. “Circa diecimila…”, risponde precisando che poi c’è una sezione dedicata esclusivamente alla letteratura siciliana. “Ma una biblioteca l’ho lasciata nella casa vecchia”. Ci lascia perplessi. Poi prosegue: “Si, perché le pareti si erano annerite col fumo e quando abbiamo tirato fuori i libri dalle scaffalatura è rimasta un’altra libreria disegnata sui muri”. Ride Camilleri. Ride Hoefer.

La loro gioia è anche la nostra, giovani giornalisti di provincia, corrispondenti innamorati dei racconti, delle storie. Come quella che ci affidato Federico Hoefer nella quale, per scelta, non siamo mai voluti entrare a gamba tesa. Stando alla soglia, questi ricordi così vividi e dirompenti non potevano rimanere silenti: Hoefer vive delle risate di un tempo, di Porto Empedocle e dei suoi sapori, degli scogli su cui il mare continua a infrangersi. “Loro non sanno che siamo andati via – si commuove Fefè -. Ci aspettano ed insieme torneremo. Pescheremo un polpo e lo sbatteremo sugli scogli per rendere la carne più morbida, perché lì sono duri”.

Le ore trascorse a casa di Camilleri, nella quale ritorniamo per condividere il pranzo, tutti assieme, da buoni siciliani, scorrono veloci affaticate dal caldo. Ed impreziosite dall’accoglienza e dalla dolcezza della famiglia Camilleri che ci fanno sentire di casa, è già l’imbrunire. È tempo di ritornare in Sicilia, degli abbracci, dei saluti, delle lacrime. “Grazie Fefè, ti vogghiu beni beddu miu”. Un altro abbraccio per darsi appuntamento, a settembre, a Porto Empedocle, in quella Sicilia cambiata in cui si ode u scrusciu do mari che tanto manca a Camilleri.


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