Cosa Nostra e quella successione "mortis causa": decide il Tribunale

Cosa Nostra e quella successione “mortis causa”: decide il Tribunale

I figli di Ieni per il gip non sono mafiosi

CATANIA – Per il gip, pur essendo coinvolti a vario titolo in episodi di estorsione e usura in una città Catania, questo non basta a sostenere che facessero parte di Cosa Nostra. E questo nonostante portassero con sé il vessillo di uno storico uomo d’onore del clan Pillera Puntina come Giacomo Ieni, addirittura genitore di due di essi. Ma per la Dda questo, semplicemente, non è possibile. Secondo i sostituti procuratori Assunta Musella e Fabio Platania, diretti dal procuratore aggiunto Ignazio Fonzo, quella decisione va rivista.

Secondo la Procura antimafia, in sostanza, la famiglia Ieni, con Cosa Nostra e negli affari sporchi del clan Pillera Puntina, c’è dentro con tutte le scarpe. Per questo è stata impugnata al Riesame l’ordinanza dell’inchiesta “Doppio Petto”, che ha ordinato gli arresti ma ha cassato uno dei principali reati, ovvero l’associazione a delinquere di stampo mafioso.

Gli indagati

Il ricorso al Riesame riguarda tutti gli indagati per associazione mafiosa: i due figli di Ieni, Dario Giuseppe e Francesco, la moglie di Giacomo Francesca Viglianesi, poi Riccardo Romano Di Mauro, Giuseppe Russo, Tommaso Orazio Maria Russo e un settimo uomo, non arrestato. L’ordinanza, sostanzialmente, aveva escluso il reato, sulla base del fatto che aver portato avanti le attività mafiose di Ieni padre, in sintesi, non basterebbe a integrare l’ipotesi di reato di associazione mafiosa.

La successione mafiosa tra Giacomo Ieni e i suoi figli, anche se solo a Dario viene contestata l’aggravante di aver promosso l’organizzazione mafiosa, per la Dda sussiste. Una successione mortis causa, unpotere che segue la linea di sangue passando dal padre a figlio, nella più diffusa tradizione mafiosa.

Il verdetto di ieri

Ieri la quinta sezione penale del Tribunale di Catania ha accolto un analogo ricorso presentato per un ottavo indagato, Francesco Cristaldi, accusato di traffico di droga e di associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga. Il tutto con la cosiddetta “aggravante mafiosa”. Per Cristaldi, a cui non è contestato il reato di associazione mafiosa, il ricorso della Dda è stato accolto (ancorchè sospeso in attesa di eventuali ricorsi). Per coloro che sono accusati di mafia, invece, sono ore cruciali.

L’ordinanza potrebbe arrivare a Pasqua. Secondo il ricorso dei pm, “lo stesso dato del subentro nella gestione delle illecite attività di Giacomo Ieni consente di estendere lo status di affiliati a coloro che perpetrano tali illecite attività”. E questo perché si avvarrebbero della fama e della “spendita del cognome della famiglia Ieni”.

L’intercettazione

In particolare, sul punto, la Dda cita un’intercettazione di Francesco Ieni. Quest’ultimo, parlando con un altro indagato, direbbe: “Quando parli con il mio nome si cala e si fa come dico io!”. Secondo la Procura distrettuale, gli indagati proseguirebbero “le attività illecite storicamente riferibili al clan, avvalendosi da quell’autorevolezza che può derivare loro solo dall’effettiva presenza ed operatività del sodalizio mafioso”.

In conclusione, la Dda chiede per i sette, la custodia cautelare in carcere anche per il reato di associazione mafiosa. In più chiede la misura cautelare anche per Tommaso Orazio Russo per una ipotesi di attribuzione fittizia di beni.


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