Abbiamo dimenticato? Cosa vuol dire ricordare qualcuno? La memoria è una percezione, un’idea, un sentimento? Cos’è esattamente la memoria di un popolo, questo organismo collettivo che sfugge alla provetta con l’etichetta che vorrebbe classificarlo? Abbiamo dimenticato Giovanni Falcone? La sua serena e intransigente onestà di uomo perbene e di magistrato retto? La sua etica che non conosceva i compromessi? Abbiamo annacquato la sua lezione? Ricordare Giovanni Falcone significa ascoltare le parole delle autorità che auspicano, deprecano, invitano? Possiamo dirci convinti servitori della sua memoria e al tempo stesso guardarci riflessi in un Paese che continua a vivere immerso nella corruzione, nel clientelismo della politica, sconciato dall’accattonaggio dei cittadini che rinnegano il proprio status di uomini liberi e proprio a certa politica chiedono scorciatoie?
Abbiamo dimenticato Francesca Morvillo? Abbiamo dimenticato una donna che volle stare col suo uomo contro tutto e contro tutti? Abbiamo dimenticato gli editoriali di fuoco? Abbiamo dimenticato che perfino la sinistra accusò Falcone di protagonismo e di scarsa coerenza? Abbiamo dimenticato che la bomba all’Addaura “se l’era messa da solo”? Abbiamo dimenticato il senso del sacrificio di Giovanni Falcone e di Francesca Morvillo?
Come rispondere a questa domanda. Forse sarà necessario ridurci al silenzio, oggi, e ascoltare vibrazioni profonde, non toccate dalla fanfara e dall’ipocrisia. Ognuno risponda, comunque, come vuole e come può. Ma poi ognuno cerchi di esserci, col suo fardello, nel diciassettesimo anno della strage di Capaci. Semplicemente esserci, col cuore sgombro, accanto ai bambini e ai ragazzi che oggi invaderanno la nostra martoriata Palermo, sempre più Sagunto. I piccoli possono insegnarci l’innocenza. E l’innocenza è una pagina bianca, dove si può riscrivere con una giusta memoria. E noi, molto più dei bambini, abbiamo bisogno di ricordare.