Al centro non c'è più posto |Evapora l'illusione post Dc - Live Sicilia

Al centro non c’è più posto |Evapora l’illusione post Dc

Le tattiche dei 2 forni hanno permesso ai centristi di sopravvivere. Ma i consensi sono un ricordo.

PALERMO – C’era una volta l’Italia democristiana. C’era una volta un grande partito con idee e valori, una grande scuola politica e una capacità di rappresentare corpi intermedi e pezzi di società in modo interclassista. Un partito di massa che all’ispirazione confessionale coniugava, in un delicato gioco di equilibri ed equilibrismi, un approccio laico e pragmatico. Quella Dc non c’è più d’un pezzo. Son rimasti i democristiani. Ma la loro resistenza all’estinzione, che si fondava su una certa sintonia con vizi e virtù d’un Paese e della sua storia, oggi vacilla. Soprattutto crolla l’illusione di poter tenere in vita una caratteristica di quella vecchia Dc, ossia il centrismo.

Un’illusione, quella neocentrista, coltivata negli ultimi anni da drappelli di postdemocristiani la cui consistenza dal punto di vista del consenso s’è fatta progressivamente sempre più pulviscolare. Fino alla quasi sparizione. Con il terremoto mediatico che ha investito il leader di Ncd Angelino Alfano per una (democristianissima?) vicenda di presunte raccomandazioni la frittata è completa. Ma l’evaporazione dell’italico “centrino” era già bella che maturata da un pezzo.

Ci hanno provato negli ultimi anni i Casini, i Mastella, i Follini, gli Alfano, a tenere in piedi un circoletto centrista e postdemocristiano che si destreggiasse nella politica dei due forni. Le traballanti maggioranze di governo e l’utilità marginale delle poltrone dei transfughi hanno consentito di tenere in piedi l’artificio. Ma solo nel Palazzo. Alle urne, gli esperimenti terzopolisti sono andati in fumo.

Quel centro che all’epoca della Dc partito di massa era sinonimo di centralità, dopo la fine dello Scudo crociato s’è trasformato in tattica nel tentativo di tirare a campare massimizzando i benefici di ogni zerovirgola. Non ha aiutato in questo quadro l’ingombrante presenza della Forza Italia berlusconiana, che attirava un elettorato centrista ma su una piattaforma politica che per toni ed inclinazioni poco aveva a che spartire con la tradizione del cattolicesimo democratico. E così, sul versante “moderato” estremisti e radicali hanno imperversato assumendo un peso sconfinato. Mentre i profughi democristiani che non hanno operato la scelta di campo del Pd, s’arrabattavano, fino alla quasi scomparsa odierna.

È il centrismo il vecchio arnese fuori dal tempo in una politica ormai addirittura tripolare, a causa dei 5 Stelle. Il centrismo, non la democristianità, quest’ultima intesa come scuola politica. Basta ricordare che a Palazzo Chigi siede un ex giovane democristiano (proprio come il suo predecessore defenestrato) che al Quirinale ha mandato un altro democristiano di lunghissimo corso. Ma si tratta di democristiani che hanno fatto una scelta di campo. Magari riuscendo, come fin qui tra mille difficoltà ha fatto Renzi, a spostare verso il centro l’asse politico del centrosinistra e convincendo fette di elettorato moderato, che ormai preferisce il Pd ai succedanei mignon suoi satelliti.

La riforma elettorale che assegna il premio di maggioranza non alla coalizione ma al partito più votato priva di qualsiasi prospettiva la già malconcia pattuglia centrista. Che scalpita adesso e farà di tutto per strappare a un Renzi in difficoltà qualche concessione in questo senso. Una sfida disperata che appare sempre più fuori dal tempo. Sullo sfondo resta sempre la mai realizzata idea di dar vita a un “grande” partito moderato che sia “sezione italiana del Partito popolare europeo”. Al momento restano i cespugli, che spesso nascono in Parlamento, da spregiudicate operazioni di trasformismo, per campare il tempo di una legislatura. E lo chiamano centro.

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