Alla sbarra i "padrini" del calatino |Condannati Navanteri e D'Avola - Live Sicilia

Alla sbarra i “padrini” del calatino |Condannati Navanteri e D’Avola

Tutti i nomi e le condanne.

CALTAGIRONE – Raffica di condanne per i componenti della mafia di Vizzini e Francofonte.  Territorio in cui per diversi mesi nel 2013 si è vissuta una faida intestina che è stata fermata grazie all’azione giudiziaria della Dda di Catania e dai Carabinieri con il blitz Ciclope. Il processo che ha visto alla sbarra, tra gli altri, i boss Salvatore Navanteri e Michele D’Avola, si chiude con la sentenza di primo grado pronunciata dal Tribunale di Caltagirone, in composizione collegiale composta dalla dott.ssa Giovanna Scibilia dal dott. Alessandro d’Altilia, e dalla dott.ssa Cristina Lo Bue. Un verdetto che ridisegna il profilo degli interessi di Cosa Nostra sul territorio del Calatino ed in special modo nei comuni di Vizzini e Francofonte.

L’INCHIESTA – L’episodio chiave del processo è il tentato omicidio di Navanteri Salvatore, nel 2013. Gli investigatori anche grazie alle intercettazioni della moglie del Navanteri, Luisa Regazzoli, degli amici Antonino Alfieri, Vito Vaina, e Nazionale Cristian acquisiscono indizi circa una rete di spaccio di sostanze stupefacenti molto articolata sul territorio. Il succedersi delle indagini porterà gli inquirenti a capire tramite le registrazioni di Michele Ponte, la cui posizione sarà stralciata perché ammesso al rito abbreviato e Alfio Centocinque che diventerà collaboratore di giustizia, che quel tentato omicidio potrebbe essere stato commesso da Salvatore Guzzardi e Luciano Nazionale, fratello di Cristian e amico di Navanteri. Alla luce delle evidenze sin li avute, per scongiurare ulteriori atti delittuosi, intravvedendo nelle intercettazioni la possibilità di vendette e di imminenti latitanze di alcuni dei soggetti intercettati, nel 2013 scatta l’operazione Ciclope.

Per gli investigatori il quadro è chiaro: Salvatore Navanteri, l’uomo che è scampato all’agguato rimanendo colpito ad un occhio da un pallino sparato da un fucile calibro 12, vantando l’appoggio del clan Cappello, dopo l’arresto di Michele D’Avola avrebbe inteso organizzare con la moglie e gli amici una rete criminale finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti, colmando un vuoto apparente lasciato da D’Avola e dai suoi, dopo il suo arresto. Apparve chiaro dunque che il tentato omicidio era un chiaro ed inequivocabile proemio ad una escalation di violenza finalizzata al controllo dello spaccio sulla piazza di Vizzini, Francofonte e altri comuni dell’hinterland calatino. A conferma di ciò arrivano le confessioni di Alfio Centocinque, che già prima degli arresti, come emerso dopo, in un occasione, per la paura avrebbe chiamato lui stesso i carabinieri di Vizzini chiedendo loro di simulare un controllo a suo carico e tradurlo in caserma. Sintomo questo che Alfio Centocinque aveva timore per la sua incolumità e che già qualche altro “messaggio” era stato indirizzato alla costituenda organizzazione criminale, che sembrava dare fastidio a D’Avola espressione dei Santapaola di Catania e dei Nardo di Lentini sul territorio. A confermare questa appartenenza al clan sarà durante la fase processuale anche Paolo Mirabile, ex reggente calatino dei Santapaola, oggi pentito e un altro ex santapaoliano Alfio Ruggieri, anche lui collaboratore di giustizia.

LA SENTENZA.  Per Navanteri i giudici hanno disposto quattordici anni di reclusione per associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti, per lo stesso capo hanno comminato tredici anni e dieci mesi di reclusione per Vaina Tommaso Vito, sette anni e sei mesi a Cristian Nazionale e quattro anni e dieci mesi a Luisa Regazzoli. Antonino Alfieri è stato invece condannato per il solo porto di armi a tre anni e sei mesi oltre al pagamento di un ammendo di 4000 €.

Assolti dal capo di accusa di omicidio con formula dubitativa Salvatore Guzzardi e Luciano Nazionale poiché al momento del fatto i loro cellulari risultavano in una posizione non compatibile con il luogo del tentato omicidio.

La pena più severa invece è stata inflitta a Michele D’Avola, ventuno anni di reclusione perchè ritenuto il capo dell’associazione criminale dedita allo spaccio di sostanze stupefacenti che con l’avvallo dei Santapaola e dei Nardo con cui era associato, comandava e gestiva il territorio nel quale Salvatore Navanteri, tramite il clan Cappello, avrebbe voluto imporre il suo potere.


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