I 'referenti' dei Santapaola e la richiesta di condanna a 17 anni

I ‘referenti’ dei Santapaola e la richiesta di condanna a 17 anni

La requisitoria del pm Roberto Condorelli, procuratore aggiunto di Caltanissetta
PROCESSO CERERE
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CATANIA – Si stringe il cerchio sui presunti referenti ennesi dei Santapaola di Catania, che di fatto hanno “commissariato” i clan della provincia di Enna. Il procuratore aggiunto di Caltanissetta Roberto Condorelli ha chiesto 17 anni per Giovanni Scaminaci. Sarebbe lui, per l’accusa, il referente ad Agira di Cosa Nostra. È l’unico, nell’inchiesta Cerere, condotta mesi fa dagli agenti della sezione di pg del Commissariato di Leonforte, a essere accusato di associazione mafiosa.

Agira, in pratica, sarebbe emanazione diretta dei Santapaola. Una delle tante enclave del clan provinciale di Catania. La requisitoria del pm è arrivata dunque al processo di rito abbreviato che si celebra dinanzi al gup di Caltanissetta Santi Bologna. Cosa Nostra ennese – che dopo la condanna definitiva dello storico boss Gaetano Leonardo “u liuni” era finita in mano a una seconda leva, come Giancarlo Amaradio – per il momento è stata ‘posata’. I loro poteri criminali, già decapitati dalle forze dell’ordine, sono ora in mano ai Santapaola.

La mafia ennese fuori dai giochi

Lo stesso Amaradio anzi avrebbe fatto sapere di non volerne sapere niente, dato che in un’intercettazione è emerso il suo disimpegno. A parlare non era lui ma una persona a lui vicina, che avrebbe detto senza mezzi termini ai regalbutesi: “L’ordine è state fermi”. Un ordine che non è stato accettato, ma che non ha fatto altro che mettere Enna fuori dai giochi, dato che i referenti ennesi sarebbero passati totalmente con Catania.

Una dinamica che peraltro ha conosciuto anche il clan provinciale di Cosa Nostra ennese. Persino gli ultimi capi provinciali sono stati designati direttamente dai Santapaola, ovvero i fratelli di Pietraperzia Giovanni e Vincenzo Monachino. Prima c’era stato “zio Turi” Seminara, imposto dal defunto e sanguinario boss di Caltagirone Ciccio La Rocca. Prima ancora l’avvocato di Barrafranca Raffaele Bevilacqua, defunto a sua volta e che era stato imposto direttamente dai Corleonesi e da Bernardo Provenzano.

Il processo Cerere

Oggi, in pratica, in Terra ennese comanda Catania. Per Scaminaci sono stati chiesti dunque 17 anni. E si tornerà in aula il 13 gennaio. Ma nel frattempo da fonti di difesa trapela che Scaminaci, per una delle primissime volte, si è lasciato interrogare per respingere le accuse. E ha negato ogni coinvolgimento. Condannato già in passato con sentenza definitiva per associazione mafiosa (al processo Green Line), ha detto di essersi allontanato dai gruppi criminali.

Ho detto che non ne voglio sapere niente più”, ha risposto al pm, in un interrogatorio. Scaminaci ha fornito la propria versione dei fatti, sostenendo in pratica di aver interrotto ogni vicinanza con esponenti mafiosi. L’imputato è difeso dall’avvocato Sinuhe Curcuraci. Dall’ordinanza, gli altri coinvolti sono difesi dagli avvocati Orazio Spalletta, Vincenzo Franzone, Alessandro Manno, Agostino Mongioj, Davide Saraniti, Giuseppe Bonavita e Samantha Cocuzza. Alcuni degli imputati hanno scelto altri riti.

La difesa respinge ogni accusa

Fonti vicini alla difesa di Scaminaci respingono ogni accusa. La difesa respinge anche l’accusa di aver ottenuto, come provento di un’estorsione, dell’asfalto rimacinato con cui sarebbe stata fatta una strada privata. La difesa ha sostenuto come si tratterebbe di un tipo di asfalto che doveva essere smaltito e che quindi, piuttosto che buttarlo, la presunta vittima glielo avrebbe regalato.

Respinta anche l’ipotesi del furto di un cancello che sarebbe stato impiantato nella proprietà di Scaminaci. In questo caso, è stato proprio lui, rispondendo al pm durante l’esame, di averlo saputo solo in un secondo momento che quel cancello era stato rubato; ma di non entrarci nulla con il furto. Si torna in aula a gennaio. Pochi mesi fa era stata emessa la sentenza di primo grado sul vicino clan di Regalbuto.


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