Tra le doti riconosciute ai siciliani, i quali, nei secoli, hanno assorbito dal confronto con le popolazioni straniere un’ampia gamma di tratti comportamentali, peraltro rielaborati in modo originale (Gesualdo Bufalino affermava che gli isolani soffrono di una sorta di “eccesso di identità”, convinti come sono che la loro cultura sia l’ombelico del mondo), spiccano socievolezza e senso dell’umorismo. E, come dimostrano i dati forniti dall’Atlante Sanitario della Sicilia, la loro aspettativa di vita va crescendo negli anni: non dimentichiamo che appena il mese scorso è scomparso, quattro giorni prima di compiere 112 anni, il minatore ennese Arturo Licata, il supercentenario che dal 13 settembre 2013 deteneva il titolo di decano maschile dell’umanità, il quale, secondo le cronache, era di natura allegra e appassionato di musica, canto e poesia, tutti presupposti di socievolezza.
E l’amicizia siciliana, “la vera”, che, a detta di Camilleri, “si basa sul non detto, sull’intuito”, costituisce un modo scambievole per migliorare la qualità dell’esistenza e persino per allungarla. La vita è una porta girevole. Proprio come quella di un hotel, che “ruota su se stessa, e non smette di girare, girare, girare”. Sono le parole conclusive di Menschen im Hotel, il romanzo dell’austriaca Vicki Baum, divenuto nel 1932, per la regia di Edmund Goulding, il celebre film Grand Hotel, un pezzo di storia del cinema, centrato sull’incessante flusso di persone che dalla porta rotante di un albergo berlinese dagli antichi fasti passano con i loro volti e le loro storie, tanti quanti gli aspetti della vita dei quali sono il segno. Ogni ospite potenzialmente ha un racconto, e altri scaturiscono dal loro interagire. Basta il ruotare della porta, dalla quale nessuno esce uguale a com’era entrando; questo non-luogo, specchio della società e dell’era moderna, delle peregrinazioni degli uomini e della circolazione delle idee, racchiude la metafora del viaggio (e dell’esistenza) declinata sul grigio confine degli opposti: reale e immaginato, usuale e straordinario, pubblico e privato, identità e diversità: un elenco che potremmo stilare all’infinito, per quante sono le sfumature, e le mutazioni, delle vicende umane.
E durante il loro corso, quando navighiamo a vista tra vittorie e sconfitte nella parte di vita che ci è toccata e che nessuno può modificare, cosa sarebbe di noi senza un amico? Perché accade talvolta, se si è fortunati, di trovarne uno. La porta girevole filtra un infinito numero di destini umani che si incontrano, si scontrano, si combinano, cambiano direzione: talvolta si incrociano in modo durevole, e perfetti estranei divengono amici a lungo termine, persino per lo spazio di una vita. Ma come nasce un’amicizia, e soprattutto, come si coltiva? Talvolta si stenta a entrare in contatto con gli altri e a mantenersi in sintonia a lungo, e le cause possono essere molteplici, specie tra i giovanissimi. Anzitutto la timidezza, e la scarsa propensione ad aprirsi; poi, i trasferimenti da una scuola all’altra, o, peggio, in un’altra città. Perdere i vecchi amici non sempre stimola a cercarne di nuovi; se si è incapaci di socializzare facilmente, l’inserimento in ambienti sconosciuti sarà ancora più difficile. Ma una cosa è certa. Tutti abbiamo bisogno di amici. Di un punto di riferimento, di una chiacchiera, di un confronto, di solidarietà al bisogno, di condividere una gioia, di raccontare un amore, di piangere una perdita.
Ci vorrebbe un amico, cantava l’Antonello nazionale, ed è proprio vero: un amico è il punto di partenza per costruire e ricostruirsi. E senza andare ai massimi sistemi, stare in compagnia fa bene, e non solo allo spirito. E’ stato difatti dimostrato che essere socievoli allunga la vita: secondo i biologi dell’Università di Chicago, gli insetti che si aggregano tra loro in modo stabile vivono meglio e più a lungo. L’entomologo Edward O. Wilson, nel libro pubblicato anche in Italia lo scorso anno, La conquista sociale della Terra, ha analizzato la strana relazione che esiste tra gli esseri umani e alcuni tipi di insetti come formiche, termiti e api domestiche. Il confronto sembrerebbe azzardato, se non fosse che si tratta di specie «eusociali», le uniche sulla Terra che formano comunità all’interno delle quali convivono più generazioni, si pratica la divisione del lavoro e i cui componenti talvolta compiono atti di vero altruismo.
Nel tracciare una storia innovativa dell’evoluzione umana, Wilson dimostra come, dagli insetti sociali all’uomo, l’evoluzione non sia stata indotta solo dall’egoismo genetico e dalla competizione individuale, ma anche dallo sviluppo di comportamenti cooperativi sempre più elaborati all’interno dei gruppi. Analizzando dunque il patrimonio genetico degli animali sociali per eccellenza, le formiche, e confrontandone il DNA, gli studiosi hanno scoperto una eccezionale capacità anti-age nei geni coinvolti nel comportamento sociale. Le formiche hanno un livello qualitativamente altissimo di organizzazione collettiva, tanto da essere considerate come parti di quel superorganismo che la loro colonia costituisce. Comparando il genoma di sette differenti specie di formiche con i dati, precedentemente acquisiti, relativi a dodici specie di mosche e dieci di api, i ricercatori, indagando i geni legati alle loro caratteristiche consociative, hanno rilevato l’esistenza di una categoria di questi ultimi collegati proprio alla socialità, dimostrando come alcuni dei cosiddetti geni “sociali” nelle formiche hanno importanti implicazioni per il miglioramento della attività dei mitocondri, i piccoli organi cellulari che rappresentano la “centrale” energetica dell’organismo.
Questa inaspettata funzione antietà dei geni sociali potrebbe essere responsabile dell’incredibile vitalità delle formiche regine, che possono vivere fino a trent’anni. Con buona pace di asceti, misantropi, e di tutti coloro che rifuggono l’umano consorzio (magari con ottimi motivi) un ulteriore studio -condotto, stavolta, sull’uomo- dimostra che una intensa vita di società fa bene alla salute. Gli effetti benefici dei rapporti con gli altri sull’equilibrio psicofisico sono stati messi in evidenza da una recente ricerca effettuata su 655 pazienti colpiti da ictus nella Columbia University, pubblicata su Scientific American Mind. Secondo i dati rilevati, appartenere a gruppi sociali consolidati, poter contare su una vasta rete di amicizie ed essere inseriti nella propria comunità è un importante predittore di salute. I soggetti socialmente isolati hanno, rispetto agli altri, il doppio di probabilità di subire un nuovo ictus nei cinque anni successivi al primo episodio. In buona sostanza, non avere conoscenze, non frequentare altre persone ed essere tagliati fuori dai contatti sociali è nocivo.
Chi conduce una vita in solitudine o ha pochi amici tende ad ammalarsi più spesso e a vedere la propria salute fisica e mentale declinare più rapidamente rispetto ai coetanei socievoli. E non solo. Appartenere a club, gruppi o associazioni e impegnarsi in progetti comuni riduce il rischio di avere, col passare degli anni, persino la predisposizione a prendere il raffreddore! E’ proprio così: gli epidemiologi statunitensi della famosa Università di Harvard, monitorando 16.638 anziani, hanno scoperto che i più attivi a livello sociale vantavano anche una memoria decisamente migliore. E, incredibile a dirsi, sebbene per ovvie ragioni fossero più a rischio di essere vittime di un maggior numero di virus, in quanto più esposti a continui contatti “fisici”, fra i quali rientrano le chiacchiere “testa a testa”, strette di mano, baci e abbracci, i più amichevoli risultavano meno vulnerabili al raffreddore rispetto ai solitari, come è emerso dalla sperimentazione dei ricercatori della Carnegie Mellon University di Pittsburgh.
Sembra poi che l’appartenenza a un gruppo con cui si condividono passioni, ideali o la realizzazione di un progetto, aiuti le persone a difendersi dai pregiudizi, a essere bene accetti e quindi più felici. E la felicità, in base a un lavoro apparso su Proceedings of the National Academy of Sciences, rafforza le difese immunitarie, potenziando le funzioni antinfiammatorie e antivirali dell’organismo. Insomma, un circolo virtuoso. Come gli arzilli vecchietti del pensionato della Florida che riacquistavano le forze e l’ardore della giovinezza grazie ai bozzoli piazzati dagli extraterrestri nella piscina in Cocoon, gli anziani ringiovaniscono miracolosamente, dunque, stando insieme. In pratica, l’unione fa la forza, non solo dal punto di vista fisico ma anche da quello mentale.
E se queste analisi scientifiche sembrano rispondere alla forte tradizione associativa libera e privata dei cittadini propria degli Stati Uniti, non mancano anche da noi tante occasioni per prendere parte ad iniziative comuni. Presa nel giusto verso, persino una riunione di condominio potrebbe diventare salutare. Attenti però, ammonisce la ricerca scientifica, a gestire con discernimento la frequentazione dei social network. Se è vero che le miniere di amicizie virtuali (che sono tali proprio perché le amicizie in questione sono “finte”) come Facebook e MySpace, almeno secondo alcuni psicologi, possono aiutare le persone con problemi di mobilità a evitare l’isolamento sociale, non mancano tuttavia i rischi legati a un innaturale surplus di conoscenze mediatiche. Uno studio svolto nella statunitense Bringham Young University, realizzato su un campione di utenti di MySpace, ha dimostrato che i frequentatori più assidui del social finiscono per essere meno coinvolti nella vita della loro comunità rispetto agli internauti più moderati. I contatti sulla rete generano legami virtuali che tendono a sostituirsi ai rapporti reali, e, col trascorrere del tempo, in modo stabile: a tutto discapito di una “antica”, ma bella e, soprattutto, salutare conversazione “dal vivo”.