Giarratano: "Troppa politica nella Sanità, gli errori in Sicilia"

Giarratano: “Troppa politica nella Sanità, gli errori in Sicilia”

La ripresa, il Covid, i posti letto, i concorsi... Senza peli sulla lingua.

Professore Antonello Giarratano, presidente della Siaarti, la Società scientifica italiana di Anestesia, Analgesia, Rianimazione e Terapia intensiva, e direttore del Dipartimento di Emergenza e Urgenza del Policlinico di Palermo, da dove deve ripartire la Sanità siciliana?
“Da una riforma della medicina del territorio e da un contestuale aggiornamento delle reti ospedaliere, regolate dall’ormai superato DM 70, quel decreto, per capirci, che stabilisce sulla base della popolazione quali e quanti posti letto deve avere il servizio sanitario regionale SSR, quali e che tipologia di ospedali e come devono essere organizzati”. 

Qual è il punto cruciale?
“Dobbiamo superare le criticità che la pandemia ha rivelato. Penso alla crisi anche della cosiddetta catena dell’emergenza. In assenza di un filtro fatto dalla medicina generale, dalla medicina del territorio e da una riorganizzazione del Sues 118, i pazienti curabili fuori dall’ospedale saturano il pronto soccorso, creando disagi che sono visibili a tutti”.

Il presidente Schifani, in una intervista con il nostro giornale, ha promesso che si concentrerà moltissimo proprio sui pronto soccorso e sulle aree d’emergenza.
“Il pronto soccorso è la punta di un iceberg, la più eclatante, di un sistema che, come dicevo, richiede una riforma e una visione globale. Le aree di emergenza in ospedale comprendono diverse unità come le stesse terapie intensive, le emodinamiche, alcune chirurgie d’urgenza. La criticità è nazionale, ma diventa drammatica in quelle regioni che non hanno potenziato negli anni la medicina territoriale e che non hanno affrontato il problema dell’emergenza, come la Sicilia”. 

Cosa ha provato, da medico, nel vedere, come abbiamo documentato, che a Villa Sofia ci sono stati pazienti stesi a terra?
“Nessun medico, nessun essere umano può restare insensibile di fronte a queste situazioni e immagini, ma paghiamo trent’anni di assenza di visione e programmazione in Sanità. Il Covid ha svelato all’opinione pubblica generale quello che prima solo chi si recava in pronto soccorso, per soddisfare la sua domanda inevasa di salute, provava sulla sua pelle”.

E’ solo un problema di personale che manca o ci sono anche modelli organizzativi da rivedere?
“Credo che ci sia un problema di risorse ma anche di formazione. E’ tutta l’area dell’emergenza a scontare disagi. Si tratta di una attività usurante molto faticosa. E poi per trent’anni non si è investito sulla formazione, solo da quindici anni esiste la specializzazione in medicina d’urgenza, e strutturalmente, sulle aree di emergenza e intensive e sui pronto soccorso, sempre nello spirito di una politica che non ha compreso la situazione e talvolta anche di tanti colleghi per cui il pronto soccorso e le terapie intensive non sono che un peso in un sistema sanitario in cui si parla di produzione ed economia. A prescindere dalle strutture, però, è anche vero che i modelli organizzativi che le stesse società scientifiche accreditate col ministero della Salute producono in alcune regioni non sono applicati nelle nostre aree di emergenza o lo sono sulla base delle competenze e buona volontà dei singoli”.

Come è stata affrontata, a suo giudizio, in tutta Italia, l’emergenza Covid?
Nel suo complesso il voto, a mio avviso, è di una piena sufficienza se consideriamo che ci siamo comportati meglio, su base nazionale, di altre nazioni europee e non. Ma per noi sanitari le criticità pesanti ci sono state.  Perché non eravamo preparati per quello che era il basso livello organizzativo della medicina del territorio e per la limitata disponibilità di risorse, strutturali tecnologiche e specialistiche, in area critica e soprattutto in terapia intensiva. E poi…”.

E poi?
“Avendo deciso di non mettere l’obbligo vaccinale nel momento di maggiore crisi, cosa che oggi comprensibilmente non avrebbe senso perché siamo in una diversa condizione, è stato creato un green pass forse più contestato dell’obbligo stesso, anche perché finalizzato a costringere le persone a vaccinarsi. Oltretutto, alla popolazione, è stata data l’errata percezione che il green pass fosse sinonimo di assenza di contagio. Viaggiando sul sistema dei colori si sono create non poche distorsioni come la caccia al numero dei posti letto di terapia intensiva da parte delle regioni che non volevano essere chiuse e che lo interpretavano, politicamente, come una bocciatura. Così si sono creati sistemi di ‘taroccamento’, non mi viene altra parola, dei numeri dei posti letto, non fosse altro perché, come abbiamo sempre detto e tutti possono capire, un ventilatore senza un anestesista rianimatore e un infermiere di area critica non fa un posto letto di terapia intensiva”.

E in Sicilia? Lei è stato componente del nostro Comitato tecnico scientifico. Come è andata in Sicilia?
“Proprio quel ruolo mi impone equilibrio e riserbo. Ci sono, ovviamente, i verbali delle nostre sedute che raccontano cosa è accaduto”.

E cosa è accaduto, professore?
“Che, dopo una prima fase di concordia generale quando l’emergenza stava per sopraffare i servizi sanitari regionali, la Regione ha abbandonato la funzione tecnica del Cts ed è entrata una gestione più politica”.

Faccia qualche esempio: a suo giudizio dove?
“Per esempio nel modello commissariale delle sole aree metropolitane e nella scelta delle figure professionali. Intendiamoci, i commissari hanno lavorato con abnegazione e ottimi risultati sul campo vaccinale, ma sono state figure, spesso, con qualificazioni diverse da quelle connesse alle competenze necessarie per la gestione dell’emergenza sanitaria ”. 

Ma i commissari non avevano una funzione organizzativa? Di chi parla, nello specifico?
“La mia è una costatazione non polemica e non punto il dito contro nessuno. Ricordo che, grazie al lavoro del Cts siciliano, sono state stabilite le linee guida di gestione intensiva del Covid-19, cinque giorni prima in Sicilia rispetto al resto dell’Italia. Linee condivise con l’assessore Razza che non hanno poi trovato concorde qualche dirigente. Così la risposta alla pandemia è stata modulata secondo modelli che non erano da noi sempre condivisi e che, sull’emergenza, non hanno visto una programmazione in ogni momento efficiente. Averlo scritto e detto, perché guidati soltanto dall’essere tecnici e dalla buonafede, ci ha portati a non essere più sentiti e ancora oggi ci frutta da quella dirigenza una manifesta ostilità”.

Come valuta le prime mosse del governo Meloni sulla pandemia?
“Come si fa a giudicare un premier da un primo provvedimento? Potrei dirle che non condivido tutto o in parte alcuni provvedimenti che hanno più un sapore mediatico che tecnico, ma entrerei in un gioco di destra, sinistra e centro. Come persona e come società scientifica che rappresento ho, e abbiamo, la caratteristica di non appartenere a un partito o a una corrente se non quella tecnico-scientifica e quindi prima di esprimerci dico: aspettiamo”.

Cosa ne pensa del reintegro dei medici No Vax?
“Non ho letto bene il provvedimento. Credo comunque che debbano riprendere a lavorare, anche perché l’allontanamento dagli ospedali, in piena pandemia, forse per qualcuno potrebbe essere stato un premio più che una punizione. Spero che ci saranno chiarimenti in rapporto alla tutela della salute dei pazienti più fragili. La medicina è una scienza e essere No Vax su base ideologica e non per motivi ostativi di salute è andare contro la scienza”.

Da medico, quali suggerimenti darebbe al nuovo e ancora ignoto assessore alla Sanità?
“Quelli che già da un anno diamo a livello nazionale come società scientifica. Il presidente Schifani ha parlato di una task force sull’emergenza, come ricordavamo. E’ il modello nazionale, su cui lavoriamo, che applicato, con gli stessi criteri, alla Sicilia, potrebbe dare risultati attesi da trent’anni. Per dirne una delle tante che potrei dire: abbiamo sviluppato una rete nazionale di monitoraggio delle terapie intensive che l’ISS ha utilizzato per monitorare il Covid 19 e le caratteristiche dei pazienti e che da novembre, come rete digitalizzata, potrà, se si vorrà, essere utilizzata come strumento nazionale e nella disponibilità delle regioni. Siamo qui con la nostra competenza e la mettiamo a disposizione , come sempre, senza chiedere niente in cambio”. 

C’è troppa politica nella Sanità siciliana?
“La politica pervade la Sanità e per certi versi sarebbe anche logico, se non si registrassero degenerazioni che ogni tanto, in ogni luogo d’Italia, emergono. Sa cosa è differente? Se la regione Lombardia deve istituire una commissione tecnica regionale guarda sicuramente alla‘affinità di pensiero’, ma lo fa solo dopo avere identificato, anche in collaborazione con la  società scientifica, se ci sono figure qualificate in quel settore. Poi magari sceglierà i più ‘affini’ o ‘i più noti’, ma, almeno, e non ci sarà mai un medico senza competenza specifica cui viene affidata una emergenza sanitaria”. 

In Sicilia, mi pare di potere arguire: invece?
“Nella nostra regione e nel mio settore negli ultimi anni solo in una occasione ho visto una selezione che non rispondeva alla cosiddetta ’appartenenza’: una notte di febbraio del 2020 quando, in emergenza e nel panico, si usò il criterio dell’esclusiva competenza, senza, beninteso, che io sostenga che fossimo gli unici o i migliori. Non voglio aggiungere altro. Ma anche questo, per esempio in tema di concorsi e di incarichi, spiega la crisi di alcuni pronto soccorso e di alcune terapie intensive, nonché di alcuni ospedali periferici. Su questo la politica, non solo siciliana, dovrebbe riflettere”.

Cosa le ha lasciato umanamente e professionalmente l’esperienza della pandemia?
“Tanta rabbia e qualche soddisfazione. La rabbia non contro qualcuno, ma quasi verso me stesso per ciò che avrei voluto fare. Rabbia per le tanti morti che, non solo da medici, abbiamo ritenuto troppe e non abbiamo potuto evitare. Rabbia perché potevamo e dovevamo fare di più, anche se non ne avevamo il potere che era della politica. Rabbia perché, nell’ultimo anno, abbiamo visto non applicati pienamente i modelli organizzativi base e di programmazione necessari a gestire l’emergenza pandemica. Soddisfazione perché, quando ci è stato permesso, abbiamo dato alla nostra terra e ai nostri cittadini gli stessi percorsi diagnostico terapeutici e gli stessi modelli che abbiamo dato e visto nei migliori servizi sanitari regionali”. 

In conclusione?
“La speranza adesso per il nostro servizio sanitario regionale si chiama presidente Schifani e due atti non possono che essere condivisi da tutti perché simbolici. Aver messo la faccia nell’irrazionale blocco di una delle aree di emergenza più strategiche e incompiute dell’area metropolitana di Palermo, quella del Policlinico, in rappresentanza delle altre anch’esse in stallo in altri ospedali siciliani. Avere pensato  alla task force sull’emergenza. Questo significa investire sulle competenze, l’elemento centrale per il futuro della sanità siciliana”. (Roberto Puglisi)


Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI