Perdichizzi ai giovani: “La retorica |del posto fisso va superata” - Live Sicilia

Perdichizzi ai giovani: “La retorica |del posto fisso va superata”

Di recente eletto vicepresidente di Italia Startup, il presidente del Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria Catania, Antonio Perdichizzi delinea un quadro della vita e delle aspettative future delle startup rispetto ai problemi che affliggono il Sud.

l'intervista
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CATANIA – La comunicazione come ‘detonatore’ con tutto il potere delle parole attraverso cui prende vita la ‘narrazione’. Da sempre aspetti importanti della cultura e della società, ma adesso plasmati dall’innovazione aprono a nuovi scenari. Protagonista è anche la forza della rivoluzione digitale, fenomeno che sta via via assumendo un carattere antropologico, e rispetto al quale è divenuto impossibile tirarsi indietro. O, semmai, rispetto al quale è un dovere, un diritto e un bene affacciarsi. Non si tratta delle solite parole buttate al vento giusto per far effetto: in gioco c’è il futuro di chi giorno dopo giorno, mattone dopo mattone, costruisce un piccolo miracolo. Ci crede fortemente e ci spiegherà bene il perché un vero conoscitore delle startup, Antonio Perdichizzi. Imprenditore di prima generazione, CEO della catanese Tree HR, e impegnato in un lunga serie d’incarichi, non si sottare alle critiche ma fa un ragionamento sempre sorretto dal linguaggio della progettualità, quella innovativa e digitale. Lo incontriamo poco prima della partenza per gli Stati Uniti.

Invitato dal dipartimento di Stato, aderirà al International Visit Leadership program. Un’iniziativa che raduna i futuri e potenziali leader dei vari paesi nel mondo. “Sono molto emozionato per questa prestigiosa esperienza che mi aspetta, sarò l’unico italiano presente tra gli europei. Per tre settimane ci occuperemo del tema innovazione”.

A proposito, assistiamo ad significativa ondata di ottimismo coadiuvata anche dal crescente mondo delle startup. Catania a riguardo rivela una certa effervescenza. Ma siamo anche all’indomani del rapporto Svimez, seria associazione specializzata nell’analisi dello stato di sviluppo del Mezzogiorno, secondo cui il sud sarebbe una terra quasi in via di sottosviluppo. Varie polemiche in merito si sono rincorse in questi giorni. Guardando questi dati c’è il rischio che si stia solo perdendo tempo come se avessimo da un lato i sogni, ma da l’altro la realtà?

Ma i dati fotografano una realtà vera, e ne segue una presa d’atto. La curva degli ultimi anni rivela una situazione che è andata a peggiorare. Ma al sud c’è gente che sta facendo un pezzo di storia, di volti che lavorano seguendo una direzione opposta a quella dei dati Svimez. Se in un territorio non si crea valore non si può andare da nessuna parte. E’ una tesi che abbiamo sempre sostenuto tant’è che le startup sono delle realtà estremamente dinamiche e capaci di andare molto veloce sul piano economico e oggi sono circa quattro mila in tutta Italia. Catania è stata tra le prime a guadagnarsi una posizione di rilievo. Crediamo che le startup siano un driver di sviluppo anche sul piano sociale e culturale. E’ chiaro che da sole non bastano, nella partita generale anche le pmi devono fare la loro parte.

Ma la sfida più grossa di tutte le startup è quella poi di trasformarsi in realtà imprenditoriali in grado di assumere, di creare posti di lavoro e soprattutto di produrre utili in termini di fatturato. In Italia è difficile fare impresa e non di meno al sud. E questo passaggio non è affatto scontato nell’ambito delle startup. Diventare startupper è più semplice che diventare manager di un’azienda?

Dunque basti pensare che fino a due anni fa per le startup non c’era niente. Oggi lo stock di possibilità di finanziamento è vicino al miliardo di euro. Siamo di fronte ad un sistema che si sta perfezionando composto da fondi pubblici, venture capital, politiche realizzate dalle stesse aziende e università per investire nelle startup, ma anche da parte del ministero come Invitalia con Smart Start. E gli esempi locali in tal senso sono tanti. Dunque, c’è davvero una mole di soldi che prima non c’era. E ogni notizia che ogni giorno arriva di un finanziamento, sono soldi che poi vanno a finire nei volti, in risorse umane. In Italia sono quattromila le startup registrate che competono con il milione degli atri paesi. Ci sono già startup italiane che fatturano milioni di euro.

Le statistiche parlano di molte startup che non riescono sempre a decollare. Analogamente, si è spesso parlato del fenomeno come bolle di sapone, o di un trend troppo viziato da una sovraesposizione mediatica che andrebbe a cozzare con altri dati, quali povertà diffusa e crollo del Pil. E’ un qualcosa di superato?

In tal senso voglio fare un ragionamento sereno. Quando in Italia si iniziò a parlare di startup il nostro paese era un assoluto deserto mentre altri paesi nel mondo ci costruivano già la loro fortuna. Quando sono stato in Israele scrissi un articolo ‘Cosa sanno fare in Israele per le startup e cosa possiamo fare noi per imitarli?’ Qui non avevamo investimenti e si era persa anche quella imprenditorialità italiana che dal dopoguerra in poi ci aveva consentito di diventare tra le sette potenze economiche del mondo. Quando tutto questo è iniziato la comunicazione ha giocato un ruolo importantissimo: abbiamo iniziato a creare una nuova egemonia culturale in cui mettersi in gioco. Rischiare e diventare imprenditore era ormai un valore estinto nel nostro paese. E’ un qualcosa di nuovo che non coincide con la vecchia logica di cercare il posto fisso: quella è una retorica che si porta dietro mille complicazioni. Parliamo di un cambiamento prima di tutto sul piano culturale. E’ un cambio di paradigma che va ben oltre il tema economico, credo si tratti di piccoli miracoli. Basti pensare ai giovani brillanti che decidono di rimanere. Anche nei casi in cui queste startup non riescono a farcela, chi ci ha lavorato ha comunque acquisito un’esperienza tale che gli consentirà di diventare programmatore o social media manager. A mio avviso il tema delle startup ritengo vada studiato proprio a livello antropologico, un’analisi che richiederà anche qualche anno.

Dunque in questo fenomeno ha giocato un ruolo cruciale la comunicazione?

Esatto, la comunicazione è stata un forte alleato. C’è una narrazione positiva dell’intero processo. In questo paese si tende molto a narrare negativamente in generale. Dai giornali e ad altri livelli. Spesso ci dicono che stiamo comunicando troppo. Ma rispetto a che cosa? Ribadisco, è un cambio di paradigma che vede nuove dinamiche un tempo impensabili, come la vecchia impresa solo a conduzione familiare. Le notizie di finanziamento che giorno dopo giorno si accumulano vanno a finire in risorse umane. Sono teste che lavorano. Un cambio di paradigma supportato da un legislatore e da una comunità che parte dal basso uniti ad una narrazione positiva.

La transazione digitale è un’altra fase fondamentale per la crescita di qualsiasi territorio. Inutile negare che in tal senso si fa ancora molta fatica e si avverte una certa dose di arretratezza. Può essere anche questa tra le cause che porta molte imprese a chiudere?

E’ un altro driver sul quale occorre assolutamente investire. La digitalizzazione delle imprese esistenti è un passo importante da compiere. L’innovazione non può prescindere da un grande uso del digitale, quest’ultimo alla base di ogni processo che guardi nella direzione del miglioramento delle performance aziendali. Oggi la maggior parte di esse non sono digitalizzate e se lo facessero avrebbero immediatamente importanti riscontri. In tal senso ci sono dati lusinghieri. Le aziende potrebbero crescere, assumere di più, affacciarsi al mondo ed internazionalizzarsi. Da poco è stata approvata la fattura digitale tra privati che abolisce la necessità della conservazione e così via, giusto per fare un esempio.

Tu sei anche un digital champion. In cosa consiste questo ruolo?

E’ un ruolo anch’esso culturale, diffusione culturale. Fare capire a imprese e pubblica amministrazione che non si può votare solo alle infrastrutture, la fibra ottica è importante ma quella morale lo è ancora di più. Basti pensare e ad imprese che i dispositivi mobili LTE: c’è una disponibilità di connessione incredibile che apre a tante porte ai digital device. C’è una continua rincorsa alla tecnologia che può trasformarsi in opportunità . Nel nostro piccolo possiamo risolvere un pezzettino di problemi, dalla mobilità sostenibile alla digitalizzazione delle imprese. Le startup nascono proprio per offrire servizi digitali alle aziende.

Veniamo alla sede TIM #WCAP di Catania. Tu sei Innovation Ecosystem managing Partner del progetto. Il grant d’impresa da 25 mila euro cash assegnato alle startup vincitrici della Call of Ideas viene scaglionato in due tranche unitamente all’avvio del programma di accelerazione. Quali risultati qui a Catania?

Parto da qui con questo programma. Il grant può servire per una buona campagna marketing, ad esempio. Il valore aggiunto è rappresentato dall’intero programma di accelerazione che ne segue. Una volta entrati nella sede questi giovani startupper vengono accompagnati paso dopo passo da mentor, figure professionali qualificate, che li aiutano a fare cose che da soli non riuscirebbero a fare. A Catania anche quest’anno sono state dieci le startup scelte. Giusto per fare un esempio, prendiamo Ganiza, startup catanese accelerata al WCAP di via Novara, la cui applicazione oggi la ritroviamo nei tablet dell’Expo. Un’ultima cosa che mi preme, infine, sottolineare: la classe dirigente non è solo quella politica dalla quale pensiamo di aspettarci tutto. Siamo noi parte della classe dirigente, perché anche su di noi pesa la responsabilità di costruire qualcosa per il nostro futuro.

 


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