'Il poliziotto amico dei boss' | "E' uno sbirro che ci avvisa..." - Live Sicilia

‘Il poliziotto amico dei boss’ | “E’ uno sbirro che ci avvisa…”

Un poliziotto palermitano nei giorni scorsi è finito agli arresti domiciliari. È accusato di favoreggiamento aggravato a Cosa nostra. Avrebbe consigliato ad un pasticciere di pagare il pizzo. Nelle conversazioni captate veniva descritto dai boss di corso Calatafimi come lo "sbirro che ci avvisa che c'è qualche cosa".

PALERMO – Prima gli misero l’attak. Poi gli bruciarono il gazebo del bar. Infine gli spiegarono che doveva pagare il pizzo. Salvo Albicocco, titolare di due pasticcerie in corso Calatafimi e viale Regione Siciliana alla fine ha scelto di denunciare i suoi estorsori. Tra le pieghe della sua storia di coraggio e dignità ne emergerebbe una di infedeltà.

Un poliziotto del Reparto mobile, che non ha mai partecipato a indagini antimafia, nei giorni scorsi è finito agli arresti domiciliari. È accusato di favoreggiamento aggravato a Cosa nostra. Dopo che Albicocco ricevette nel 2010 la visita degli uomini del racket incontrò per strada Guido Ferrante, così si chiama l’agente di polizia, che dimostrava di conoscere bene le dinamiche criminali della zona di corso Calatafimi, dove un ruolo di primo piano avrebbe ricoperto Giusepe Zizo, titolare di un bar di fronte a quello di Albicocco. Non aveva gradito che il suo dirimpettaio si fosse messo a servire i caffè. Gli toglieva lavoro.

“Tu strada non te ne sei fatta? Penso di sì – spiegava Ferrante al pasticciere – … è uscito fuori binario. Mi. Non si sta salvando nemmeno Gesù Cristo in questa zona… Parola d’onore”. Ferrante sapeva che Zizo si era messo in testa di imporre il pizzo a tappeto. E metteva in guardia Albicocco. Non gli consigliava di denunciare, come un poliziotto avrebbe dovuto fare, ma di cercarsi un amico: “Salvi… io dico ma… vedi con chi devi parlare, perché io… purtroppo sai quale sono le cose della vita Salvi? Con questa gente attualmente uno ha solo da perdere; hai capito? Io te lo dico, te lo dico – poseguiva – perché ti rispetto come un fratello… uno a solo da perdere con questa gente qua. Fatti la strada… vedi che minchia vuole…. Ma tu levando la macchina espresso non c’entra niente… minchia che fai. … ciao Salvino… stai attento…”.

Altro che questioni di concorrenza, il problema non era la macchina del caffè. Ferrante avrebbe fatto intendere che si trattava di una richiesta di pizzo in piena regola. Un anno dopo Zizo sarebbe finito in cella assieme al capo del mandamento di Pagliarelli, Michele Armanno, al fidato braccio destro di quest’ultimo, Maurizio Lareddola, e ad Alessandro Longo.

Dello sbirro parlò per primi, nel giugno 2011, proprio Longo che, dopo avere descritto gl interessi di Ferrante nella compravendita di macchine, diceva così: “Guido il poliziotto…questo… il poliziotto che hanno qua…che …ogni tanto ci avvisa se c’è… qualche cosa”.

Ferrante avrebbe condiviso gli affari delle macchine con Armanno e Lareddola. E i tre sono stati intercettati. Ferrante si rivolgeva ad Armano chiamadalo “zio Michele”, lo salutvaa col baco sulle guancia, e lo considerava in grado di autorizzare l’apertura di nuove attività commerciali in zona: “Zio Michele, lei si ricorda al lavaggio che mi ha detto a me, dice Guido dice come mai non vuoi più aprire qua? Vedi che tu sei a posto, lo so che sono a posto” . E il Ferrante gli confidava: “I miei mille euro alla settimana io me le guadagno con le macchine”.

“L’autorevolezza degli appoggi dei quali il Ferrante può vantarsi in ambienti criminali – scrivono nella richiesta di arersto i pubblici ministeri Teresi, Del Bene, De Leo e Luise – viene evidenziata in un’altra conversazione intercettata in data 22 ottobre 2012 tra Ferranti e Settimo D’Amico, pregiudicato in materia di stupefacenti”. Il poliziotto aveva venduto una macchina a un tale Giancarlo che aveva contestato a D’Amico il fatto di avere difeso uno sbirro: “Mi hai detto che difendevo lo sbirro… lo hai capito? E giustamente io non posso parlare… perchè giustamente… tu hai la divisa e non posso parlare…”.

Due anni dopo la vicenda Albicocco, in prossimità del Natale 2012, temendo conseguenze penali per il suo intervento, Ferrante si è recato di nuovo dal pasticciere. Che lo ha raccontato ai poliziotti: “Ferrante si è presentato presso la mia pasticceria di viale Regione Siciliana… mi ha allontanato dalla cassa dicendomi che temeva che io fossi oggetto di intercettazione. Quindi mi ha condotto all’interno del mio laboratorio dove mi ha raccontato che qualche giorno prima era stato sottoposto a perquisizione e tratto in arresto dalla Polizia di Stato, per il consiglio che mi aveva dato in riguardo alla ricerca di un mediatore, per la richiesta estorsiva sopra cennata. A tal riguardo mi ha detto che probabilmente sarei stato chiamato dalla magistratura o dalla polizia giudiziaria… avrei dovuto negare il nostro incontro ed anche il consiglio datomi dallo stesso”.

 


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