Ascesa e caduta di Antonio Ingroia | Da Napolitano al cerchio magico - Live Sicilia

Ascesa e caduta di Antonio Ingroia | Da Napolitano al cerchio magico

Il pm più in vista del processo sulla Trattativa che puntò il dito contro i potenti oggi si accontenta di un incarico di sottogoverno a Sicilia e-Servizi. Amico del discusso medico Tutino, dopo essere stato nominato da Crocetta per "meriti antimafia"  rimprovera a Lucia Borsellino: "Con quel cognome ha sbagliato a entrare in giunta". La replica del portavoce di Ingroia: "Mai incarichi politici, ma ruoli istituzionali".

 

PALERMO – Dalla sfida a Napolitano alle scartoffie di Sicilia e-Servizi. La parabola di Antonio Ingroia si può racchiudere tra questi due poli. Dalle grandi inchieste sui poteri forti, con tanto di dito puntato verso le più alte cariche istituzionali, all’amicizia col medico Matteo Tutino, componente come lui di quel cerchio magico contro cui oggi si scaglia anche il segretario regionale del Pd Raciti. Come se Ingroia fosse uno dei tanti impiegati della Regione. Come se non fosse lo stesso che osava sfidare i potenti e persino il Csm, preferendo un incarico delle Nazioni Unite tra i palmizi del Guatemala a una Procura di provincia, prima del ritorno in Sicilia, all’ombra del potente di turno, cioè Rosario Crocetta. Tra l’ex capo dello Stato e il governatore di Gela c’è di tutto. C’è la storia di una grande ambizione e di rovinose cadute. Fino a un ritiro modesto tra le sale di via Thaon de Revel, a Palermo. Dove bisogna pensare ai moduli da far rimpeire in una delle tante società mangiasoldi della Regione.

Lì lo ha piazzato Crocetta. Dopo aver provato a piazzarlo ovunque. Persino al proprio fianco, come vicepresidente della Regione. “Ma io gli ho detto di no”, ha rivelato Ingroia. Come a voler dare il buon esempio. Una scelta che avrebbe dovuto seguire anche lei, Lucia Borsellino. Un “no” all’ingresso in giunta giustificato dal tentativo di non permettere la strumentalizzazione di quel cognome e di quella storia. Come se proprio sull’antimafia non si basasse la “sottocarriera” di Antonio Ingroia. Quella, cioè, che arriva dopo il gran rifiuto al trasferimento ad Aosta. No, lui non sarebbe stato mai ostaggio di una piccola Procura, dopo le imponenti (soprattutto da un punto di vista mediatico) inchieste sulla Trattativa Stato-Mafia. E invece, guarda un po’ quanto è beffarda la storia, in un certo senso Ingroia della Val d’Aosta è rimasto ostaggio lo stesso. Messo alla guida della società regionale Sicilia e-Servizi, opportunamente resuscitata da una liquidazione e trasformata – almeno formalmente – in una azienda totalmente pubblica, Ingroia, e con lui la Regione, si è “consegnata” nelle mani degli ex soci privati che si troverebbero – formalmente, anche in questo caso – fuori dalla società. No, quei soci privati detengono ancora le “chiavi” del server di quell’azienda che gestisce dati sensibili, privatissimi, delicati e dalla quale passano gli stipendi dei dipendenti regionali, le prenotazioni sanitarie, alcune attività del 118. “I dati che erano in un server in Valle d’Aosta – ha detto il Procuratore regionale della Corte dei conti Gianluca Albo in occasione dell’udienza sul processo contabile legato alle assunzioni nell’azienda – non sono ancora stati trasferiti in Sicilia”. E così, ogni volta che i privati decidono di battere cassa, sono anche nelle condizioni di utilizzare il convincente argomento: “Stacchiamo tutto”. Un allarme lanciato periodicamente anche da quei lavoratori provenienti dalle società private e transitati in quella pubblica. Assunzioni volute da Crocetta e Ingroia e avvenute, secondo la Procura della Corte dei conti, “al buio”, in violazione delle leggi, attraverso selezioni compiute da una commissione che non ha alcun fondamento normativo, e “rinnegando una scelta di legalità”. Accuse sfociate nell’indagine contabile nei confronti dell’ex pm e del governatore. Ma finite anche in un fascicolo della Procura di Palermo. La stessa alla quale Ingroia ha indirizzato la propria “stima” e fiducia, dopo le prese di posizione del Procuratore capo Lo Voi che ha “smentito” l’esistenza dell’intercettazione fantasma dell’Espresso con la terribile frase su Lucia Borsellino.

E Ingroia, ovviamente, anche su quell’argomento ha la sua visione dei fatti. E per questo, nonostante non sia più un pm, e nonostante si sia semplicemente aggiunto alla schiera dei custodi del sottogoverno, viene interpellato sui giornali nazionali, che indugiano sulla popolarità dell’ex magistrato, mai scalfita, pare, da una serie di scivoloni e mezzi passi falsi. Come la sua avventura politica con Rivoluzione civile: lì il tonfo è stato solo direttamente proporzionale all’ambizione dell’ex pm che voleva farsi premier. Dalla Rivoluzione si passò all’Azione, con l’obiettivo di avvicinarsi, inizialmente, almeno in Europa, alle posizioni di Tsipras. Almeno fino al primo luglio scorso. “Il coordinamento nazionale di Azione Civile, – si legge in una nota – ad ampia maggioranza, e con il voto consultivo favorevole dell’assemblea digitale degli aderenti, ha deciso di approvare il documento politico proposto dal presidente del movimento, Antonio Ingroia, con cui si sancisce la fine dell’esperienza politica all’interno del progetto ‘Altra Europa con Tsipras’”. Un pensiero e un dispiacere in più per il leader greco, già impegnato a evitare il disastroso fallimento della sua Nazione.

Ma Ingroia ha altro a cui pensare, adesso. E a dire il vero nei mesi scorsi di cose ne ha fatte tante. A cominciare dall’avvicinamento al portone di un’altra partecipata regionale, quella “Riscossione Sicilia” dove si annidava, manco a dirlo, il malaffare. In quel settore che trenta, quarant’anni prima, “era stato uno snodo del sistema economico o politico-mafioso della Sicilia”. L’approdo a Riscossione non andrà a buon fine, nonostante quel riferimento atteso e prevedibile a Cosa nostra. Elemento che ovviamente lega stretto Ingroia al governatore che lo voleva come vice. E che arrivò a dichiarare, per giustificare il nuovo incarico di sottogoverno alla Provincia di Trapani, che “Ingroia avrebbe in questo modo dato una mano alle richerche del latitante Messina Denaro”. Una nomina, però, che avrà infastidito qualche potere forte. Come l’Autorità anticorruzione che ha ricordato all’ex pm l’impossibilità di cumulare incarichi e lo ha costretto a rinunciare. Poco male. Nel frattempo lo stipendio di Ingroia a Sicilia e-Servizi superava e di gran lunga il tetto di 50 mila euro fissati per gli altri amministratori. Nonostante il tentativo – anche questo fallito – di Crocetta di abbattere quel tetto in Finanziaria. E la società pubblica tornava buona pure per qualche consulenza a diversi zeri per il tesoriere della sua Rivoluzione civile.

Se ne sta stretto stretto al governatore antimafia, l’ex pm antimafia. Crocetta e Ingroia sono uniti in tante cose. Pure nelle amicizie. “Ti passo Antonio”, dirà il primario Matteo Tutino, in carcere con gravissime accuse, proprio al presidente Crocetta. Quest’ultimo, mesi prima, si vantava: “Quello è il medico di Ingroia”. Lo stesso medico che all’ex pm – stando ai racconti di Ingroia – chiese persino l’inserimento in una lista alle elezioni politiche. Lo stesso medico che – al di là dell’esistenza o meno dell’intercettazione choc – era ostile al punto da tramare alle spalle di Lucia Borsellino. La figlia di Paolo. Colei che, secondo Ingroia, l’ex politico chiamato da Crocetta per i suoi “trascorsi di pm antimafia” anche al fianco di Paolo Borsellino, non avrebbe dovuto entrare in giunta. C’era il rischio di strumentalizzare quel cognome. Un consiglio autorevole, considerati gli esiti, ad esempio, delle roboanti sfide alle più alte cariche dello Stato. Ingroia aveva osato spingendosi anche a chiedere l’utilizzo delle intercettazioni telefoniche fra il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e l’ex ministro e imputato Nicola Mancino. Il capo dello Stato sollevò il conflitto di attribuzione e la Corte costituzionale gli diede ragione. Cioè diede torto (anche) a Ingroia: le telefonata andavano e sono state distrutte.

Ricordate gli scontri con l’ex premier Berlusconi, la folkloristica riesumazione del cadavere del bandito Salvatore Giuliano fino alle illuminanti interviste su ognuna delle “misteriose pagine” della Storia d’Italia e le comparsate negli studi di Michele Santoro? Di quello, oggi, è rimasto poco. Le ceneri di una esperienza politica, il fastidio della Valle d’Aosta, il titolo di “quasi simbolo dell’antimafia” attribuito a Massimo Ciancimino e qualche amico sbagliato. Ma comunque componente, come lui, di quel cerchio magico e sfortunato del governatore contro cui ha puntato il dito persino il giovane segretario regionale del Pd Fausto Raciti: “Un cerchio – ha detto al Corriere della sera – diventato un governo parallelo, un sistema di rapporti” che vedrebbe coinvolto, secondo il leader dei democratici siciliani, anche l’ex magistrato antimafia Antonino Ingroia. Come fosse un impiegato qualunque. Tra i Tutino e i Sampieri, e in mezzo alle scartoffie dei “contratti di somministrazione” per i dipendenti della società che regge l’intero sistema informatico della Regione, “tra i quali – disse sempre il Procuratore Albo in una requisitoria durissima contro l’ex pm e il governatore Crocetta – si può trovare anche un commis di cucina, un ranger e il gestore di un negozio ‘Calzedonia’”. Tutti alle dipendenze del pm della Trattativa Stato-mafia. Quanto sono lontani il Quirinale e Palazzo Chigi.

LA REPLICA DI MAURIZIO SANSONE, ADDETTO STAMPA DI SICILIA E-SERVIZI E PORTAVOCE DI INGROIA

Egregio Sabella
A Ingroia non è mai venuto in mente di trovarsi in un presunto “cerchio magico” del governatore Crocetta per il semplice fatto che non ha mai partecipato a riunioni dove il presunto cerchio magico avrebbe distribuito incarichi o preso decisioni politiche né ha mai contribuito a una sola nomina. Le ricordo, se può servire, che Ingroia all’epoca delle elezioni siciliane era ancora Pm e quindi non sostenne mai la candidatura di Crocetta, ma che nella lista di Rivoluzione Civile, alle politiche del 2013, fu candidata Giovanna Marano che alle elezioni regionali di Crocetta era stata avversaria. E che sia Ingroia sia Azione Civile sono sempre stati, sia a livello locale che nazionale, alternativi al Pd, e Crocetta di quel Pd, sia pure da “eretico”, ne fa parte. Per questo, innanzitutto, Ingroia ha rifiutato un ruolo politico come quello di vicepresidente della Regione ma ha accettato ruoli istituzionali come quello di Commissario della Provincia di Trapani e di Sicilia e-Servizi.

I suoi pregiudizi contro l’Ingroia di oggi, eguali a quelli che aveva contro l’Ingroia PM di ieri (basta leggere i suoi articoli del tempo), sono così forti che non le passa neppure per la testa che, al di là dello schieramento politico, Antonio Ingroia sia stato ritenuto una risorsa visto il suo passato di pm antimafia integerrimo e che Crocetta abbia pensato perciò di nominarlo prima a capo dell’agenzia di riscossione e poi commissario della ex provincia di Trapani e commissario liquidatore di Sicilia E-Servizi? Evidentemente no, abituato alla malagestione del potere e degli affari in altri ambiti, un’ipotesi del genere, evidentemente, non la sfiora neanche. Come non la sfiora neppure il sospetto che si possa rendere un servizio ai siciliani onesti anche da quelle postazioni che lei chiama “posti di sottogoverno”, che poi sono quelli che fanno la differenza tra un servizio che funziona a costi bassi e una macchina mangiasoldi.

Lei scrive: “Fino a un ritiro modesto tra le sale di via Thaon de Revel, a Palermo. Dove bisogna pensare ai moduli da far riempire in una delle tante società mangiasoldi della Regione”.
Che sia un ritiro modesto è una sua opinione. Prima di tutto perché lei evidentemente ignora il lavoro che viene svolto dall’amministratore unico di una società partecipata come Sicilia e-Servizi. Inoltr lei omette di dire che le spese di Sicilia E-Servizi, a partire dalla gestione di Ingroia, sono diminuite da 40-50 milioni l’anno ad appena 11. E come mai lei non si è mai occupato della mala gestione del passato di Sicilia e-Servizi, sotto i governi Cuffaro e Lombardo, ed omette di ricordare gli enormi risparmi di Ingroia (più di 40 milioni in poco più di un anno!) e la denuncia di Ingroia alla procura della Repubblica per le gravi irregolarità delle gestioni precedenti alla sua? Tutti dati, questi, che sono in suo possesso e averli omessi rappresenta la prima gravissima disinformazione per i suoi lettori.

“Messo alla guida della società regionale Sicilia e-Servizi, opportunamente resuscitata da una liquidazione e trasformata – almeno formalmente – in una azienda totalmente pubblica, Ingroia, e con lui la Regione, si è “consegnata” nelle mani degli ex soci privati che si troverebbero – formalmente, anche in questo caso – fuori dalla società. No, quei soci privati detengono ancora le “chiavi” del server di quell’azienda che gestisce dati sensibili, privatissimi, delicati e dalla quale passano gli stipendi dei dipendenti regionali, le prenotazioni sanitarie, alcune attività del 118”.
L’ex socio privato vanta nei confronti della Regione un presunto credito di circa 100 milioni e per ottenerne il pagamento ha perfino tentato di ottenere dal Tribunale di Palermo un sequestro per più di 80 milioni sia nei confronti della Regione che di Sicilia e-Servizi. Ma finora tutte le sentenze hanno dato ragione a Sicilia E-Servizi, tutte. Ovviamente di questo nel suo articolo non c’è traccia. I soci privati detengono ancora le chiavi del server e possono spegnere tutto quando vogliono, è vero, perché il percorso di autonomizzazione di Sicilia e-Servizi, seppur faticosamente avviato da Ingroia, fra mille ostacoli frapposti anche dalla Regione, non si è ancora completato, ma l’ex socio privato sa che non può ricattare la Regione perché andrebbe incontro a una denuncia per interruzione di pubblico servizio. Rispetto alla situazione trovata poco più di un anno fa, quando Ingroia si insediò a SieSe, il processo di autonomia e di indipendenza è molto avanzato. Aquel tempo, l’ ex socio privato era “padrone” di SIeSE: socio e fornitore monopolista di SIeSE e pure datore di lavoro di tutti coloro i quali lavoravano per SIeSE, tutti suoi dipendenti che poteva condizionare e licenziare quando voleva. E nel recente passato l’ex-socio privato esprimeva pure l’amministratore di SIeSE, così controllata in tutto. Questa la situazione trovata, e questa la situazione odierna, realizzata fra mille difficoltà: SIeSE al 100 % della Regione; società in house; coloro che lavorano per SIeSE sono solo in minima parte ancora dipendenti dell’ex socio privato, e questo a causa dei ritardi dell’amministrazione regionale che non ha completato i collaudi di alcuni sistemi forniti dall’ex socio; avviata la procedura per il trasferimento di dati e sistemi dalla Val d’Aosta al centro dati della Regione Siciliana consegnata a noi dall’amministrazione regionale solo qualche settimana fa. Come vede anche qui ci sono delle omissioni gravissime, ancora una volta tutte a danno di Antonio Ingroia.
“Assunzioni volute da Crocetta e Ingroia e avvenute, secondo la Procura della Corte dei conti, “al buio”, in violazione delle leggi, attraverso selezioni compiute da una commissione che non ha alcun fondamento normativo, e “rinnegando una scelta di legalità”. Accuse sfociate nell’indagine contabile nei confronti dell’ex pm e del governatore. Ma finite anche in un fascicolo della Procura di Palermo”.
Le assunzioni non sono avvenute in violazione di legge. Prima di tutto perché prima di procedere si è chiesto un parere all’avvocatura distrettuale dello stato ma, principalmente, perché non c’è nessuna sentenza, neanche di primo grado, che lo dica. Per ora esiste solo un’indagine della Corte dei Conti, un’inchiesta della Procura di Palermo che sarebbe già stata archiviata se un gip solerte non avesse chiesto un supplemento di indagine e, soprattutto, esistono sentenze, queste sì, del Tribunale del Lavoro di Palermo che hanno imposto a Sicilia E-Servizi di assumere alcuni di quei dipendenti, per cui è pendente il giudizio davanti alla Corte dei Conti, a tempo indeterminato. E quelle sentenze del Tribunale del Lavoro hanno espressamente affermato che quelle stesse assunzioni non solo erano legittime, ma erano anzi doverose.

“Nel frattempo lo stipendio di Ingroia a Sicilia e-Servizi superava e di gran lunga il tetto di 50 mila euro fissati per gli altri amministratori. Nonostante il tentativo – anche questo fallito – di Crocetta di abbattere quel tetto in Finanziaria. E la società pubblica tornava buona pure per qualche consulenza a diversi zeri per il tesoriere della sua Rivoluzione civile”.
Ma guarda un po’, Antonio Ingroia guadagna più dei 50.000 euro previsti dalla legge siciliana… La retribuzione è quella, a cui si aggiunge un premio, previsto dalla legge, e le leggi non le fa Ingroia, per il raggiungimento degli obiettivi. Ovviamente lei parla dello stipendio di Ingroia e non dell’obiettivo raggiunto, cioè di più di 40 milioni di euro fatti risparmiare ai cittadini siciliani da quest’anno rispetto alle passate gestioni a parità di livelli occupazionali e di servizi offerti. Chissà perché nessuno, a cominciare dall’egregio Sabella, ha mai protestato per il premio previsto dalla legge assegnato a quei passati amministratori che invece di contenere i costi di Sicilia e-Servizi, come Ingroia, li hanno fatti gonfiare a dismisura… Non aspetterò che ricordi lei in un prossimo articolo che la Regione sborsava al socio privato, in passato, per ogni dipendente una cifra tra i 400 e i 1200 euro al giorno (al giorno!) a fronte delle cifre di oggi che vanno a coprire esattamente il lordo per ogni singolo dipendente.
Inoltre, la consulenza di cui parla è quella affidata a Elio Costanza, che, oltre ad essere stato tesoriere di Rivoluzione Civile, è un valente ed affidabile avvocato. Infatti la scelta dei consulenti, prevista dalle norme vigenti, è discrezionale e si basa esclusivamente su un rapporto fiduciario, la stessa fiducia oggi ed allora. Ma lei omette un’altra notizia, già nota ma che ha evidentemente dimenticato, e cioè che i compensi per gli avvocati sono parametrati a tabelle dell’ordine a cui non ci si può sottrarre. Se per un contenzioso di 100 milioni Ingroia avesse pagato il suo consulente con un compenso di 1000 euro avrebbe commesso un illecito. Vada a controllare tabelle e bilanci e vedrà che i compensi sono stati applicati al minimo tabellare. Ma non sarà poi che questo avvocato è anche bravo visto che ha portato a casa solo sentenze favorevoli?
“…per i dipendenti della società che regge l’intero sistema informatico della Regione, “tra i quali – disse sempre il Procuratore Albo in una requisitoria durissima contro l’ex pm e il governatore Crocetta – si può trovare anche un commis di cucina, un ranger e il gestore di un negozio ‘Calzedonia”.
Sembra quasi che Ingroia abbia assunto con i sistemi consoni ai più consolidati sistemi di potere siciliano, personale che nulla c’entra con l’informatica siciliana. Proprio per non dare adito ad alcun tipo di strumentalizzazione Ingroia ha semplicemente traghettato il personale del socio privato in Sicilia E-Servizi, come era previsto dall’originario bando di gara. Il personale è prevalentemente formato da esperti informatici, ma anche da amministrativi, semplici impiegati, uscieri, gente di cui ogni società ha bisogno per funzionare e che negli anni intanto sono stati formati spendendo per tale formazione fior di quattrini all’ex socio privato. E che fossero commis da cucina, ranger o titolari di marchi in franchising bisognerebbe dirlo a chi quelle assunzioni le fece, cioè l’ex socio privato, l’unico ad averci davvero guadagnato. Ma questo lei non lo considera, anzi ostentatamente lo ignora.
“Ingroia aveva osato spingendosi anche a chiedere l’utilizzo delle intercettazioni telefoniche fra il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e l’ex ministro e imputato Nicola Mancino. Il capo dello Stato sollevò il conflitto di attribuzione e la Corte costituzionale gli diede ragione. Cioè diede torto (anche) a Ingroia: le telefonata andavano e sono state distrutte”.
Sin dal primo momento il pool antimafia di Palermo ha sottolineato che l’intercettazione tra l’intercettato Nicola Mancino e il presidente della Repubblica erano penalmente irrilevanti e quindi non ha mai chiesto l’utilizzo di quelle telefonate. Il pool chiedeva solo che per la distruzione di quelle intercettazioni, comunque da distruggere, si applicasse la procedura normale. Il presidente della Repubblica invece la pensò diversamente bloccando l’iter e facendo ricorso alla Consulta per conflitto di attribuzione, al contrario di quanto era accaduto più volte in passato quando altre procure avevano intercettato telefonate tra intercettati e presidenti della Repubblica e si era applicata la procedura normale senza strepiti, scandali e conflitti.

“il titolo di “quasi simbolo dell’antimafia” attribuito a Massimo Ciancimino”.
Come mai non ha ricordato che è stato proprio Ingroia a mettere sotto inchiesta ed a far arrestare Massimo Ciancimino?
Lei può avere tutte le opinioni che vuole, ovviamente, ma se riporta fatti cerchi di raccontarli per intero, non solo nella parte che le piace di più.


Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI