PALERMO – “Il fatto non costituisce reato”, è la formula con cui la Corte d’appello ha assolto Francesco Maiolini dall’accusa di usura bancaria. Un’ipotesi che in primo grado era costata all’ex direttore generale di Banca Nuova una condanna a otto mesi, pena sospesa.
La sentenza di oggi allinea la posizione di Maolini a quella del presidente dell’istituto di credito Martino Breganze, e del direttore dell’area commerciale Rodolfo Pezzotti. Gli imputati avevano scelto due riti diversi chiusi con esiti opposti. Alla fine è passata la tesi difensiva dell’avvocato Lillo Fiorello.
È stata una storia giudiziaria tormentata quella arrivata oggi alla sentenza di secondo grado. A febbraio 2013 le prove non furono ritenute evidenti, fu negata la richiesta di giudizio immediato e affidata una perizia per verificare se l’istituto di credito avesse applicato tassi usurari nei confronti di due clienti. Piccole cifre per la verità: 5 mila euro (di cui 4 mila compensati) e 3.495 sui conti di due società. A Palermo arrivò il via libera al processo in controtendenza con altre decisione prese in giro per l’Italia. La vicenda divenne, però, un caso giudiziario costati un procedimento disciplinare davanti al Csm e un’inchiesta penale a Caltanissetta per l’ex procuratore di Palermo, Francesco Messineo. Entrambi i procedimenti furono archiviati.
Dalle indagini, allora coordinate dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia, erano emersi contatti fra Maiolini e Messineo che avevano discusso dell’indagine per usura bancaria. Il direttore generale disse di avere avuto soltanto contatti “istituzionali” con il capo dei pm palermitani per fargli presente che altri procedimenti, aperti in altre Procure, si erano chiusi con un nulla di fatto. Messineo, dal canto suo, sostenne di avere fornito informazioni note, visto che ai dirigenti della banca era già stato notificato l’avviso di garanzia.
Fu sul tavolo di Ingroia che finirono le intercettazioni. Risalivano all’11 giugno del 2012. E cioè ad un momento di forti fibrillazioni in Procura. A cominciare dalla iniziale scelta di Messineo di non firmare l’avviso di conclusione dell’inchiesta sulla Trattativa. Cinque mesi dopo avere ricevuto le intercettazioni, pochi giorni prima di volare in Guatemala per mettersi al servizio dell’Onu e prima di scendere in politica candidandosi come premier, Ingroia trasmise il fascicolo a Caltanissetta. Nel frattempo Messineo, che prima non aveva voluto firmare gli atti della Trattativa, avrebbe finito per modificare il proprio atteggiamento.