CATANIA – Lame improvvisate, tagli sulle braccia e anche sull’addome, poi immancabili fotografie (anche di gruppo) postate in rete. I soggetti, alunni delle scuole medie inferiori, non hanno più di quattordici anni. Sarebbe questa la nuova “moda” dei giovanissimi vicini, pare, alla sottocultura Emo: termine che indica l’indole emotiva degli adolescenti che, negli anni ’80, adottavano uno stile non conforme, estremizzato in questa forma di autolesionismo.
Una pratica che pare sia sempre più diffusa anche nelle scuole catasesi, almeno a giudicare da quanto emerso da alcuni colloqui con psicologi, presidi e insegnanti. Una moda determinata dall’era digitale e dalla mancanza di dialogo dei giovani tra loro e con i familiari, secondo un dirigente scolastico. Da lì, mediante un uso ossessivo delle immagini, la moda dilaga ”. Così afferma un dirigente scolastico che preferisce rimanere anonimo, come gli altri soggetti intervistati, compreso l’insegnante con cui abbiamo parlato, secondo cui si tratterebbe, piuttosto, di una moda. “E’ soprattutto moda, senza molti perché – afferma – un “effetto cascata” provocato spesso dal carisma di un capogruppo. C’entra anche una malintesa idea di coraggio fisico”. E si arriva alle lame: “Usano quelle dei temperamatite, oppure i taglierini – racconta. Se ne vanno in bagno e quando tornano in classe si coprono; poi il fatto si scopre da mezze parole sentite dire in classe”, spiega ancora, non senza difficoltà.
Situazioni più gravi sono registrate, a volte, dagli “sportelli d’ascolto” presenti in diverse scuole medie e superiori da oltre un decennio. Un’equipe di psicologi fornisce il proprio supporto a singoli alunni e docenti, talvolta anche a gruppi. Una di queste dottoresse non ha dubbi in proposito: “Il punto è la solitudine, nel senso più completo del termine. Quando l’assetto familiare crolla, e i ragazzi non trovano mezzi d’espressione, fatti simili accadono più facilmente. Sappiamo di genitori che vorrebbero mettersi alla pari coi figli, essere loro ‘amici’…ciò crea squilibri notevoli”. I casi accennati riguardano soprattutto figli di genitori separati.
Un professore di lettere delinea una di queste situazioni: “In una classe di venti alunni, lo facevano in cinque; una ragazzina portava a scuola viti o chiodi, che usava per ferirsi. Poi c’era un ragazzo che, dopo essersi tagliato le braccia si fotografava e, via WhatsApp, inviava le foto alle compagne: per vantarsi. Coi genitori giustificava tali ferite dicendo di essere caduto dalla bicicletta. Abbiamo convocato le famiglie: alcune non erano al corrente, altri familiari piuttosto minimizzavano. Qualcuno ha incolpato la cultura di stampo americano, assorbita dai media”.
Così parla un’altra insegnante di lettere: “A noi docenti manca la preparazione per comprendere l’impatto dei social network. Tra l’altro, gli ‘sportelli d’ascolto’ sono spesso percepiti come un’intrusione nella vita familiare dei ragazzi, gli psicologi visti come elementi ostili. La figura del consulente filosofico, più neutra ma ugualmente efficace, potrebbe essere un’alternativa seria”.
In alcune scuole la situazione è stata affrontata con successo. “Abbiamo avuto qualche caso nel 2013”, racconta una vicepreside, “ma l’abbiamo gestito e risolto insieme ai genitori, che ne erano già a conoscenza. Non c’è vero disagio, è solo moda: non hanno idea del danno che può arrecare un taglierino”.
“I docenti devono occuparsi dei singoli casi, prestando un’attenzione estrema anche fuori dal contesto didattico; perciò devono stabilire rapporti di conoscenza e cooperazione con le famiglie, spiegando le conseguenze di quelli che ai ragazzi possono sembrare gesti senza conseguenze”. Tali propositi ha espresso una preside. E’ auspicabile vengano portati avanti, oltre la solita logica noncurante, affiancando il compito delle famiglie: che in teoria sarebbe quello principale.