PALERMO – Dalle pieghe dell’inchiesta sulla mafia di Belmonte Mezzagno viene fuori una storia del passato. A raccontarla, 30 anni dopo, è Agostino Giocondo, arrestato ieri dai carabinieri con l’accusa di essere il capo decina della famiglia mafiosa.
Senza sapere di essere intercettato confidava all’amico Pietro Gaeta, pure lui fra 9 arrestati di ieri, di una rapina. La vittima era un notaio al quale aveva strappato una borsa con 20 milioni di lire in assegni e 5 milioni in contanti.
Che stesse raccontando la verità i pm della Direzione distrettuale antimafia lo hanno riscontrato in fretta. In effetti una sera di luglio del 1992 tre persone travisate e armate di un fucile e due pistole attesero il professionista sotto lo studio notarile.
Ecco cosa diceva Giocondo: “Urlava come un vitello… attaccato al cofano… la mattina esce sul giornale appena ho aperto il giornale con una sputacchiata il barista lo ha riempito pieno pieno appena si è messo a ridere”. La notizia della rapina era tragica per il notaio, ma divertente per chi l’aveva commessa.