Orologi di lusso, bracciali tennis con brillanti, un appartamento e un’impresa. Questo è il “tesoretto” sequestrato dai carabinieri a Santo Strano, ‘facci i palemmu, una delle figure apicali del clan Cappello di Catania. Il 54enne, al momento detenuto in regime di alta sicurezza, è infatti destinatario di un decreto emesso dal Tribunale di Catania – Sezione Misure di Prevenzione su richiesta della Dda etnea. Il provvedimento è stato eseguito anche nei confronti della moglie, intestataria dell’immobile e della società di commercio al dettaglio di caffè sequestrati. Entrambi ubicati nel rione del Villaggio Sant’Agata di Catania.
I Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Catania hanno svolto precisi accertamenti contabili e patrimoniali in cui emergerebbe l’assenza “della necessaria copertura economica/finanziaria” di quanto accumulato. Per gli investigatori quindi ci sarebbe stato l’investimento dei “proventi derivanti dall’illecita attività svolta da Strano”. Boss di primo piano della mafia catanese – e con un rapporto di parentela diretto con il padrino Turi Cappello al 41bis – e giudicato “socialmente pericoloso con un decreto irrevocabile del Tribunale di Catania dell’aprile 2010″.
Santo Strano muove i primi passi nel crimine tra la fine degli anni ottanta e nei primi anni novanta, poi ha scalato anche i vertici del clan Cappello. I carabinieri mettono nel mirino i proventi illeciti frutto “dei reati contro il patrimonio”. Facci i palemmu è stato condannato per furto ed estorsione. Fino al 2017, quando è poi convinto nel maxi blitz Penelope (condanna in appello a 14 anni), è stato tra i protagonisti degli affari criminali del clan Cappello. Per comprendere il suo ruolo di vertice, il pentito Carmelo Di Mauro disegnando la piramide del comando mette Strano allo stesso livello di Massimiliano Salvo, ‘u carruzzeri. Insomma solo un gradino sotto alla punta in cui scrive il nome di Salvatore Lombardo, ‘u ciuraru. Un assetto però che fa riferimento al periodo prima del 2017, prima che scattasse l’operazione Penelope appunto.
Ma non è solo lui a parlare di Santo Strano, c’è un elenco infinto di collaboratori di giustizia che raccontano gli affari criminali in cui è coinvolto il boss. Partendo dal narcotrafficante Domenico Querulo, al santapaoliano Paolo Mirabile, e poi gli ex soldati e gregari dei Cappello Filippo Passalacqua, Natale Cavallaro, Gaetano D’Aquino, Giuseppe Raffa, Sebastiano Sardo. Chiudono la lista Orazio Cardaci e Carmelo Scordino.
Strano ha tanta influenza nella mafia catanese da riuscire ad autorizzare e dare copertura per l’attività illecita della famiglia Cambria. E inoltre ha ricoperto posti di responsabili del gruppo del clan Cappello in via della Concordia “deliberando le strategia operative, l’approvigionamento della sostanza stupefacente e le modalità del recupero illegale di ingenti crediti”. Ma sarebbe anche stato il boss che ha fatto da trait d’union con la cellula mafiosa di Catenanuova-Centuripe-Regalbuto. E avrebbe avuto diretti contatti con Turi Cappello e la compagna del capomafia Maria Campagna, entrambi imputati nel processo Penelope.
I beni sequestrati ammontano secondo le stime degli inquirenti ad un valore complessivo di oltre 500.000 euro. Nelle mani dello Stato sono finiti “un appartamento al Villaggio Sant’Agata intestato alla moglie Stefania Reale, l’impresa individuale Reale Stefania di “commercio al dettaglio di caffè torrefatto”, saldi attivi di eventuali rapporti bancari/finanziari superiori a 1000 euro, 9 orologi di prestigiose marche e 2 bracciali tipo tennis con brillanti.
I preziosi gli sono stati sequestrati nel 2015 durante un blitz dei carabinieri di Enna per la strage di Catenanuova: i militari li trovarono nella cassaforte. Per la cronaca Strano è stato assolto per i fatti di sangue del 2008, mentre è stato condannato per mafia dalla Corte nissena.