La Messa funebre è finita. Alcune ragazze spazzano per terra e puliscono la pavimentazione della Cattedrale. In quel semplice gesto c’è un mondo di abnegazione, qualcosa che dice come tutto continua ed è necessario l’impegno. Ci sono, nella risacca emotiva di questo giorno, mentre le spoglie mortali di Fratel Biagio vengono portate fuori, conchiglie di sensazioni che contengono l’eco dell’immortalità. Sono lì, nelle lacrime dell’arcivescovo di Palermo che celebra e a un certo punto piange. Succede quando dice: “Noi abbiamo anche visto piangere Fratel Biagio”. E’ uno dei momenti intimamente più toccanti. Ci sono le lacrime di don Pino – finora mai era accaduto in pubblico – che, finalmente, depone pochi grammi del peso enorme che grava sulle sue spalle e ricorda il cammino con Biagio Conte e quasi sussurra: “Io lo chiamavo fratello Biagio, perché per me era un fratello. Ci siamo incontrati alla stazione, io ero a Santa Chiara e cercavo un giovane che si era smarrito. Ho trovato lui”.
Ci sono le lacrime dei genitori del missionario laico, che ha chiuso gli occhi in pace al termine di una lotta contro la malattia. Arrivano in chiesa poco prima che cominci il rito, mamma Maria e papà Giuseppe. Vengono accompagnati, con dolcezza, di fianco alla bara disadorna che raccoglie il corpo del figlio. La mamma si china e la bacia (nella foto). Il papà si bacia la mano e la sfiora. Sono molto anziani questa madre e questa padre, ma hanno la forza di una famiglia unita e immensa. La mamma ha, pure lei, occhi di un intenso azzurro. Mormora, ogni tanto: “Il mio Biagiuccio”. Il papà la guarda con tenerezza.
Ci sono le parole dell’arcivescovo, di don Corrado, che ha sempre quelle giuste: “Fratel Biagio era laico cristiano, un mite potente lottatore. L’unica eredità di cui Fratel Biagio si è appropriato è stata il dolore e la povertà dei fratelli. L’eredità che ci lascia è la ricchezza del suo esempio. Vedevamo in lui – dice ancora Lorefice – una certezza che vorremmo diventasse sempre nostra, di ogni uomo e di ogni donna di buona volontà. C’era una dolcezza nel suo essere che veniva da un Altrove, una vitalità che trovava le sue sorgenti in uno spazio inedito. Per questo Fratel Biagio era vivo. Pieno di vita anche alla fine, sul letto che era diventato la sua croce. Sempre attento a ciò che succedeva nella città terrena, sempre in movimento. Anche alla fine, quando non poteva più muovere i piedi, le gambe, ma continuava a muovere il suo cuore, sul sentiero della vita. Il nostro Fratel Biagio ha amato la sua Palermo, si è coinvolto nelle sue sofferenze e contraddizioni come il nostro don Pino Puglisi. Ha amato ogni città meta del suo lungo pellegrinaggio,
ha amato ogni città del mondo”.
C’è il messaggio ricolmo di affetto del presidente della Cei, il cardinale Zuppi, indirizzato proprio all’arcivescovo: “A nome della Chiesa in Italia, esprimo profondo cordoglio a Lei, alla grande famiglia della ‘Missione di Speranza e Carità’, alla comunità ecclesiale e alla città di Palermo per la morte del nostro fratello Biagio Conte, uomo appassionato di Cristo il cui messaggio resta una profezia per il mondo di oggi. In una società in cui si cerca una felicità individuale, fratel Biagio ci ricorda che la vera felicità ce la dona il tempo speso per il prossimo, specialmente per chi è povero, scartato. Il suo amore per gli ultimi, la scelta di cercare delle risposte per non abituarsi mai allo scandalo della povertà e alla sofferenza dei poveri, l’accoglienza intelligente e generosa sono un’eredità preziosa, da raccogliere e continuare, non solo a Palermo ma in tutto il Paese. Fratelli tutti!”.
Ci sono anche le lacrime di Vincenzo Agostino che perse un figlio per mano della mafia ed è qui a contemplare il feretro di Biagio, come se fosse il guscio di un altro figlio che se ne va. A nessuno sfugge la connessione. I giorni dell’amore per Biagio Conte. I giorni della cattura di Matteo Messina Denaro. Due vite che si specchiano nelle irriducibilità delle loro scelte: il bene e il male. Un intreccio profondo di significati, tra chi ha guadagnato l’eternità in ogni cuore e chi, spargendo sangue innocente, ha dannato la sua stessa vita.
La Messa, intanto, è finita, con le voci delle nipoti di Biagio intonate all’amore, alla memoria, per il ‘caro zio’ che era presente, nonostante fosse un pellegrino, un viandante, in giro con la sua anima pura. Forse era proprio questo uno dei suoi miracoli: esserci, stare con le persone. Lui e i tanti suoi volti pervasi dall’innocenza. “Biagiuccio” è il ragazzo a cui una madre e un padre sono stati costretti a dire addio. Biagio è il sorriso che risplende, mentre la cattedrale si svuota. Non c’è nemmeno bisogno di gridare, come fa qualcuno: “Santo subito”. Palermo lo ha già riconosciuto come tale. E c’è, nel mare delle braccia e delle lacrime, ancora una volta, come nelle ore dell’agonia, una speranza che non sappiamo dire. (Roberto Puglisi)