PALERMO- Immaginate una scuola di Palermo, trentotto anni fa, il 25 novembre 1985, all’uscita. Non ci sono smartphone. Ragazze e ragazzi condividono la festa dell’ultima campanella. C’è chi ha un calzone fritto in mano, avanzato dalla ricreazione.
C’è chi sta organizzando la partita di calcio del pomeriggio. C’è chi pensa all’incombente interrogazione di matematica. Il cielo presenta qualche nuvola passeggera. Il paesaggio è quello di sempre. Il fioraio all’angolo, la lingua d’asfalto da attraversare. Sullo sfondo si sentono le sirene delle auto di scorta. Non è una cosa strana. Siamo nell’imminenza del maxi-processo contro la mafia. Palermo è in guerra.
Immaginate piazza Croci, a Palermo, quel giorno, proprio quel giorno e non un altro. Gli studenti si accalcano alla fermata. Qualcuno torna a casa a piedi. Altri rimangono ad aspettare l’autobus, addossati al muro che fronteggia la scuola, il liceo ‘Meli’, dall’altra parte della strada. In mezzo a loro ci sono Biagio Siciliano e Maria Giuditta Milella. Non sanno che passeranno, loro malgrado, alla storia, come Biagio e Giuditta. Biagio è un esordiente, frequenta la quarta D. Giuditta, come la chiamano, ha qualche anno in più. Lei è della terza B. Da trentotto anni, il destino li ha messi nella stessa foto. Che non scattarono mai insieme. Biagio ha la faccia seria e la cravatta. Giuditta sorride.
L’incidente e il ricordo
Il destino, appunto, quel 25 novembre è in agguato. Una macchina di scorta ai giudici Leonardo Guarnotta e Paolo Borsellino, dopo una carambola, piomba su quella fermata. Non si capisce più niente, tra grida e lamenti. Palermo è in guerra, c’è molta tensione. Il bilancio è tragico. Biagio Siciliano muore subito. Giuditta chiuderà gli occhi, settimane dopo, in ospedale. Il ‘Meli’ rimarrà a lungo dilaniato dal dolore, come la città. Siamo in guerra e ci sono vittime dove non te le aspetteresti.
“Ma Biagio e Giuditta non sono danni collaterali – dice Vincenzo Siciliano, fratello di Biagio -. Sono vittime di quel clima terribile”. Vincenzo porta il testimone della memoria, è un ragazzo buono e coraggioso. “Vivo 364 giorni all’anno, sapendo che, il 25 novembre, la mia sofferenza sarà acuta – dice -, ma questa è una giornata perfino di gioia, con tanti giovanissimi, in una città liberata”. Trentotto anni dopo, alla fermata di piazza Croci, ci sono bambini e ragazzi di scuola. Hanno striscioni colorati. Hanno sorrisi smaglianti. Sono qui, davanti alla targa che ricorda l’accaduto, e che fu posta dalla Cna, la confederazione degli artigiani, grazie all’impegno del segretario, Pippo Glorioso.
“Quel giorno eravamo…”
L’iniziativa per la memoria è stata organizzata da persone di buona volontà. Il Centro Studi ‘Paolo e Rita Borsellino’, guidato con sensibilità dal magistrato Vittorio Teresi, è uno dei luoghi, concreti e immateriali, che tengono vivo l’impegno. Marcello Longo e Mari Albanese, presidente e componente dell’Ottava circoscrizione, rappresentano un presidio irrinunciabile.
Alla fermata ci sono gli alunni dell’istituto comprensivo ‘Alberico Gentili’ e della scuola primaria ‘Pitrè’. Dopo la riflessione mattutina a piazza Croci, il programma prevede un convegno in Procura su mafia e antimafia, nella prospettiva degli anni. Partecipano: Lia Sava, procuratrice generale presso la Corte D’Appello, il presidente della Corte D’Appello, Matteo Frasca, il procuratore Maurizio de Lucia, il presidente della Commissione regionale Antimafia, Antonello Cracolici, l’avvocato Francesco Leone dell’A. Giu. S. (Associazione giusti siciliani), il presidente Teresi, con la moderazione di Mari Albanese. In piazza Croci gli ex ragazzi della scuola chiacchierano. Ognuno rievoca: “Quel giorno ero….”. Nel nome di Biagio e Giuditta.
Trentotto anni dopo
Guardiamo Palermo, trentotto anni dopo. La mafia c’è ancora, ma non semina più lapidi. A piazza Croci ci sono le nuvole, ma la pioggia è clemente. Siamo in tanti. C’è Leoluca Orlando, testimone di questa storia e di tante altre Davanti alla lapide che ricorda Biagio Siciliano e Giuditta Milella il giudice Guarnotta sosta in preghiera. Lui rimase sconvolto per l’accaduto, come il giudice Borsellino. Ma Paolo Borsellino, oggi, non può esserci. Ed è ancora il dolore della separazione. Ed è ancora la speranza di una rivoluzione compiuta.