BIANCAVILLA (CATANIA) – Per alcuni imprenditori, per alcuni negozianti, a Biancavilla il pizzo era ormai una tradizione consolidata. Un tributo fisso. Un’eredità. E nel caso di un imprenditore taglieggiato, questa realtà, era il vero senso della parola. Quando ha parlato con gli investigatori, ha riferito di aver praticamente continuato ciò che faceva suo padre, dopo la morte del genitore.
E di aver pagato ininterrottamente per circa sette anni qualcosa come 1.500 euro all’anno in tre rate. A Natale, Pasqua e per San Placido, compatrono di Biancavilla. In un altro momento, poi, ha riferito di aver subito un’estorsione ben più onerosa – qualcosa come 15 mila euro in materiale edile – tra il 2016 e il 2017.
Le parole della vittima
“Dalla morte di mio padre – ha dichiarato la vittima – e sotto la mia responsabilità, ho pagato il pizzo. E preciso che anche prima della morte di mio padre, questi pagava la tangente”. L’imprenditore vende prodotti per l’edilizia.
Le due ipotesi di estorsione rientrano negli atti dell’ordinanza che ha portato all’operazione antimafia “Ultimo atto”. Gli indagati sono presunti appartenenti e avvicinati del clan Tomasello-Mazzaglia-Toscano, una costola locale del clan Santapaola-Ercolano.
Biancavilla, pizzo in eredità: gli indagati
A Placido Galvagno, Piero Licciardello, Mario Venia, Salvatore Manuel Amato e Alfio Muscia, è contestata l’ipotesi di estorsione continuata dal 2012 al 2019. A Muscia e a Carmelo Vercoco invece l’ipotesi di estorsione di materiali edili per 15 mila euro tra l’estate del 2016 e la primavera dell’anno successivo. Quei materiali sarebbero serviti a Vercoco per alcuni lavori di ristrutturazione a casa sua.
Il gip: “Ha avuto paura”
Nell’ordinanza, la Gip Daniela Monaco Crea cita il pentito catanese Vincenzo Pellegriti. La persona offesa “ha affermato di non avere ricevuto espresse minacce, ma di essersi decisa a pagare in ragione del fatto che, abitando e vivendo in territorio di Biancavilla, era ben consapevole della natura e della provenienza delle richieste”. Aveva acconsentito, insomma, “per paura per la propria incolumità personale e per quella dei suoi familiari”.