CATANIA – Non ci sono prove concrete dell’affiliazione di Alessandro Bonaccorsi alla cosca Cappello Carateddi. L’arringa difensiva dell’avvocato Giuseppe Rapisarda punta a smontare punto per punto le accuse dei pm Pasquale Pacifico e Antonella Barrera per il reato di associazione mafiosa. Il legale, infatti, conferma la contestazione per il traffico di droga, ammessa dal suo stesso assistito, ma ritiene insussistenti gli elementi che accerterebbero la sua appartenenza al clan mafioso.
Si avvia alle fasi conclusive il processo che si celebra con il rito abbreviato davanti al Gup Monaco Crea che vede imputati 11 persone arrestate nell’ambito di un’operazione antidroga. In queste settimane, dopo la requisitoria tenuta a luglio scorso dai Pm, i difensori hanno parlato davanti ai giudici e ieri è stata la volta del difensore dell’imputato centrale Alessandro Bonaccorsi e della moglie Bruna Strano. L’avvocato Rapisarda chiede l’assoluzione dal reato di associazione mafiosa con la formula “per non aver commesso il fatto”. L’appartenenza al clan emerge dalle dichiarazioni di Natale Cavallaro, che parla dell’intenzione di Gaetano Lo Giudice, il pluriergastolano capomafia dei Carateddi, a conferire a lui nel marzo del 2010 la reggenza della cosca in quanto aveva “disponibilità di armi e soldi” per poter gestire le piazze di spaccio. Tutto questo doveva avvenire nel corso di una riunione che però non è mai avvenuta in quanto nel frattempo Bonaccorsi fu arrestato. Per il legale, allora, non ci può essere una condanna su un “proposito o un’intenzione”. Per la contestazione dell’associazione finalizzata al traffico per droga il difensore ha chiesto una continuazione della condanna avuta in via definitiva nel 2010 per lo stesso reato.
Sulla posizione della moglie l’avvocato Rapisarda escude qualsiasi accordo con il dirigente del Vittorio Emanuele Maria Costanzo allo scopo di documentare una condizione di salute incompatibile con il regime detentivo. La Costanzo – è sottolineato nell’arringa difensiva – agiva come consulente di parte e non nella sua funzione professionale. Il reato di corruzione, dunque, è da escludere visto che non sussistono elementi probanti rilevanti, come somme di denaro e, certo – secondo Rapisarda – non possono considerarsi regalerie destinati alla corruzione un paio di orecchini di bigiotteria. Tutto questo con un punto di partenza importante e cioè la patologia di cui soffre Bonaccorsi; una pancreatite che emerge chiaramente da diverse perizie mediche svolte non solo da Maria Costanzo.
L’avvocato, dunque, chiede al Gup l’assoluzione sia per il reato di corruzione che per quello di associazione finalizzata al traffico di droga. Perchè se è vero che Rosa Strano ha ammesso le conversazioni intercettate in carcere riferenti al fatto che riceveva direttive per la gestione delle piazze di spaccio, questo – secondo la difesa – non vuol dire fare parte attiva dell’organizzazione. Il suo ruolo, cioè quello di pagare gli spacciatori, è una condotta non cosciente e consapevole ma “pressata” dal marito. Per questo il legale ha chiesto in subordine la riqualificazione del reato in concorso esterno allo spaccio di droga con una richiesta di condanna minima prevista dal codice che è 6 anni di carcere, ricordando che con l’abbreviato è previsto uno sconto di un terzo della pena.
L’avvocato Giuseppe Rapisarda è anche il difensore dell’altro imputato centrale del processo Giovanni Musumeci, (condannato in primo grado nell’abbreviato del processo Revenge 3 per omicidio). La richiesta di pena dei pm è 20 anni per associazione mafiosa e associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. Il difensore anche per lui ha chiesto l’assoluzione per il reato associativo al Clan dei Cappello Carateddi.