Borsellino e i documenti del Csm | L'amicizia con Giovanni Falcone - Live Sicilia

Borsellino e i documenti del Csm | L’amicizia con Giovanni Falcone

La presentazione dei documenti che hanno fatto la storia.

La memoria
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ROMA – “Una volta che debbo indagare sulla asserita appartenenza di una persona a Cosa Nostra… debbo aprire il ventaglio di indagini a tutte le possibili fonti di prova… su tutto ciò che nel panorama giudiziario italiano risulta come indagini, su queste persone”. “Ho il dovere di fare un’indagine esplorativa a vasto raggio, anche nell’interesse dell’indagato”. Da un’audizione che Paolo Borsellino fa davanti al Csm alla fine del 1991 e in cui si riferisce alle indagini che sta compiendo a carico di esponenti politici chiamati in causa da pentiti di Cosa Nostra, emergono con chiarezza i capisaldi del suo metodo investigativo. Un sistema fatto di approfondimenti ad ampio raggio, rigore nella ricerca dei riscontri alle dichiarazioni dei collaboratori, senza nessuna adesione precostituita alle loro tesi.

Quell’audizione fa parte dell’ampia documentazione che il Csm pubblica in un libro intitolato “L’Antimafia di Paolo Borsellino”, che Palazzo dei Marescialli presenterà domani, a margine del plenum con il capo dello Stato, colleghi e familiari del magistrato, per commemorarlo a 25 anni dalla strage di via d’Amelio. Si tratta di materiale inedito, che è stato desecretato con un’operazione analoga a quella fatta per Giovanni Falcone in occasione dell’anniversario di Capaci. E nelle carte che ora diventano pubbliche c’è anche una lettera di Falcone che testimonia il rapporto strettissimo tra i due magistrati: “mi onoro” della sua amicizia, scrive, richiamando il “senso dello Stato” e il “coraggio” del collega, dimostrato anche nella denuncia pubblica dello smantellamento del pool antimafia di Palermo, seguito alla nomina del consigliere istruttore Antonino Meli.

Quando viene convocato dal Csm Borsellino aveva già chiesto al Parlamento l’autorizzazione a procedere nei confronti dell’allora leader dei Repubblicani Aristide Gunnella, chiamato in causa dal pentito Rosario Spatola. E proprio partendo da quel caso, spiega il suo modo di indagare : “non è che mi sono limitato a verificare se le dichiarazioni di Spatola erano veritiere o non veritiere…Se l’indagato deve essere sollevato da questa accusa, non deve essere sollevato perché le dichiarazioni di Spatola non hanno trovato riscontro… ma deve essere sollevato a pieno titolo, dopo che il magistrato ha fatto il suo dovere, cioè cercare le prove dovunque è possibile trovarle”. Massimo rigore anche sulla segretezza delle indagini. Lui e Falcone, racconta in quell’audizione, hanno scritto il mandato di cattura per Tommaso Buscetta in una notte, nonostante si trattasse di un atto di 300 pagine. Il tutto per evitare una fuga di notizie, dopo aver saputo che l’Espresso si accingeva a pubblicare uno scoop sulle dichiarazioni di Buscetta, che pure “erano state raccolte nel massimo segreto”. Tra gli atti pubblicati ci sono anche quelli che riguardano la nomina di Borsellino a procuratore di Marsala: venne preferito lui rispetto a magistrati più anziani per la sua indiscussa conoscenza del fenomeno mafioso. Ma non tutti al Csm condivisero quella scelta: c’è chi espresse dubbi perchè “non ci si può lasciare influenzare dalla notorietà dei magistrati interessati”, pena il rischio di “incentivare il protagonismo dei giudici” . Ma le critiche più dure vennero da Leonardo Sciascia che con un editoriale sul Corriere della Sera aprì la polemica sui “professionisti dell’Antimafia”.

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