I boss che non volevano disturbare Matteo Messina Denaro: il verdetto - Live Sicilia

I boss che non volevano disturbare Matteo Messina Denaro: il verdetto

Raffaele Urso
Processo ai mafiosi di Castelvetrano, Partanna e Mazara del Vallo

PALERMO – L’impianto accusatorio regge anche in Cassazione, resta solo da rivalutare alcune aggravanti in un nuovo processo di appello. Sotto accusa c’erano boss e gregari delle famiglie mafiose di Castelvetrano, Partanna e Mazara del Vallo, da sempre le più vicine a Matteo Messina Denaro.

Il processo nasceva dal blitz “Anno Zero” del 2018 condotto da carabinieri del Ros, Dia e squadra mobile. Dell’elenco degli arrestati facevano parte anche i cognati del latitante, Rosario Allegra e Gaspare Como. Il primo è morto in carcere. Il secondo ha scelto di essere giudicato con il rito ordinario. I boss trapanesi si erano messi in affari con le piattaforme delle scommesse sportive.

Il campiere, Cinuzzo e gli altri

La Cassazione ha dichiarato inammissibili i ricorsi degli imputati condannati il 28 ottobre 2021 dalla Corte d’appello di Palermo. Con la stessa sentenza la suprema Corte ha annullato con rinvio le posizioni limitatamente ad alcuni reati e aggravanti. Si ripartirà dalle pene inflitte in appello. Quella più severa fu decisa per Vincenzo La Cascia, 75 anni, di Campobello di Mazara ed ex campiere della famiglia Messina Denaro, al quale la condanna venne ridotta a 12 anni e 8 mesi. Quattordici anni e 10 mesi aveva avuto Raffaele Urso, 64 anni, anche lui di Campobello di Mazara. Era uno che viaggiava molto Urso, spesso in trasferta a Roma, legato agli ambienti della massoneria.

Ed ancora: 13 anni e 4 mesi a Nicola Accardo, 58 anni, ritenuto il capomafia di Partanna; 11 anni e mezzo al 59enne campobellese Filippo Dell’Aquila; 11 anni e 4 mesi al partannese Antonino Triolo, 53 anni; 7 anni e 2 mesi al castelvetranese Giuseppe Paolo Bongiorno, 35 anni; 11 anni e 2 mesi a Giuseppe Tilotta, 61 anni; 10 anni e 8 mesi a Calogero Guarino, 54 anni; 10 anni in continuazione con una precedente condanna al campobellese Andrea Valenti, 71 anni; 8 anni al mazarese Angelo Greco, 54 anni. Diventa definitiva la condanna a 3 anni e 4 mesi inflitta a Mario Tripoli.

Annullate con rinvio le condanne di Bartolomeo Tilotta, 36 anni (un anno e 10 mesi per favoreggiamento) e Giuseppe Rizzuto, 44 anni, imprenditore edile di Castelvetrano (6 mesi per favoreggiamento). Riconosciuto il risarcimento dei danni alle parti civili: un imprenditore, i comuni di Castelvetrano e Campobello di Mazara, Sicindustria, associazione “Codici Sicilia onlus”, “La Verità vive onlus”, Centro Pio La Torre, Associazione antiracket Trapani e Alcamo.

Il blitz “Anno zero”, fino all’arresto del latitante lo scorso gennaio, fornì i dati più aggiornati della presenza di Matteo Messina Denaro. Nel 2016 su Filippo Sammartano, già condannato per mafia e deceduto nel 2016 per cause naturali, uomo d’onore della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara, si addensò il sospetto che si fosse appropriato di una parte del denaro destinato agli affiliati. Della faccenda si sarebbe occupato Raffaele Urso, meglio conosciuto come “Cinuzzu”, su incarico di Rosario Allegra, uno dei cognati del latitante.

“U siccu non lo voglio disturbare”

Urso e Allegra furono filmati nell’estate del 2014 mentre si incontravano in una casa di campagna in contrada Ingegna a Campobello di Mazara. Arrivarono il primo in sella a uno scooter e il secondo in macchina. I carabinieri del Ros intercettarono solo l’ultima parte della conversazione grazie a una microspia piazzata in piena campagna. Allegra chiedeva l’intervento di Urso: “… aspettiamo un po’… che dobbiamo fare?… io a lu siccu… non lo voglio disturbare… che ha un coglione di… mio cognato… che è un coglione preciso… e ora mi devo andare a litigare con quest’altro cretino?”.

Al di là delle parole dure che Allegra rivolgeva al cognato Gaspare Como, sposato con un’altra sorella di Messina Denaro, emergeva che i cognati avevano un canale diretto per le comunicazioni con il latitante. Nell’estate del 2016 i partannesi Nicola Accardo e Antonino Triolo: “… hai scritto tu?”; “… glielo ho fatto sapere… il fatto… Matteo”; “… ed hai chiuso il conto?”; “Tu domani ci vai…”; “… no … io domani…”; “.. lascia perdere… ascolta lui… qua non gli ha detto che sta qua… dice che era in Calabria ed è tornato…”. Della presenza di Messina Denaro in Calabria si è tornato a parlare anche dopo l’arresto.

Uno dei tanti pizzini

Mentre parlavano si sentiva in sottofondo il rumore dello sfregamento della carta. Gli investigatori sono certi che i due avessero in mano un pizzino scritto dal latitante che al rientro dalla Calabria avrebbe pianificato degli incontri: “… passa qua… ed i cristiani ci vanno… e allora gli ho detto questo coso di qua…”; … interesso della discussione… il cognato?”; “Sua sorella, sua sorella”; “… qua … nel bigliettino è scritto… lo vedi? Questo scrive cosa ha deciso…”. Era tutto vero, le indagini che hanno portato alla cattura del latitante hanno confermato che Rosalia Messina Denaro è sempre stata in contatto con il padrino.

Quindi Triolo entrava nei particolari: “… la madre di Matteo… che lui non scrive si lamenta, lui deve scrivere… vorrei vedere a te… non gli interessa niente di nessuno…”. Quindi, poco prima di strappare il biglietto, spiegavano che il pizzino era arrivato tramite tale Nicola e c’erano riferimenti alla “famiglia” e alla “gerarchia”.


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