Boss in carcere, paga Cosa nostra| Il rispetto ha il colore dei soldi - Live Sicilia

Boss in carcere, paga Cosa nostra| Il rispetto ha il colore dei soldi

La cosesgna dei soldi al figlio del boss Ignazio Pullarà

Spese sanitarie, trasferte per i colloqui, parcelle legali: chi sta fuori deve garantire i carcerati.

PALERMO – Benedetto Capizzi, anziano boss di Villagrazia, si era fatto male in carcere. Un incidente che rese necessario un busto ortopedico per rimetterlo in piedi. E la catena di solidarietà di Cosa nostra si attivò per pagare le spese sanitarie e finanziarie la trasferta dei parenti che volevano sincerarsi delle sue condizioni di salute.

Una regola chiave per la sopravvivenza dell’organizzazione mafiosa è il sostegno economico ai carcerati e alle loro famiglie. Non è un caso che tutte le recenti inchieste sulla Cosa nostra palermitana siano popolate di boss che campano sulle spalle dei nuovi mafiosi ancora in libertà e di donne che riscuotono la “mesata”, bussando alla porta dei mammasantissima. E quando gli ultimi incaricati di mandare avanti la baracca finiranno pure loro in cella toccherà a qualcun altro occuparsi di raccogliere i soldi. Solo che le spese aumentano, blitz dopo blitz. Prima i soldi arrivavano dalle estorsioni che ormai non bastano più. Forse è anche per questo che i boss sono tornati in affari con la droga, rischiando stangate giudiziarie.

Ai vecchi padrini non bisogna mancare di rispetto. E il rispetto ha il colore dei soldi. Ignazio Pullarà, storico padrino di Santa Maria di Gesù, in carcere c’è finito da tempo. Le microspie piazzate dai carabinieri del Ros di Palermo, che pochi mesi fa hanno smantellato il clan, hanno registrato il dialogo fra Gaetano Di Marco, proprietario di una rivendita di marmi divenuta luogo di summit, e Santi Pullarà, figlio dello storico padrino: “Tre… due e cinquanta” (3.250 euro ndr)”. Erano i soldi che avuto ricevuto da Antonino Macaluso e destinati al padre: “…all’avvocato già glieli ha dati…”. I carabinieri hanno immortalato la consegna del denaro.

La mutua di Cosa nostra vige in ogni mandamento. A Santa Maria di Gesù come a Porta Nuova dove Teresa Marino, moglie del reggente Masino Lo Presti, aveva un gran bel da fare per garantire gli stipendi a vecchi mafiosi. Oppure a Resuttana dove i fedelissimi di Tanino Fidanzati hanno uno stipendio garantito. Stessa cosa in provincia. A Corleone, ad esempio, c’era chi temeva la reazione di Giovanni Grizzaffi, nipote di Totò Riina: “Gli ho detto, io a come stiamo, avanzo questi e gli ho detto e lo zio Sariddu (Rosario Lo Bue, capo mandamento di Corleone pure lui in cella , ndr) lo sa… Oggi domani, esce qualche d’uno, e mi dice a me come siamo combinati?… Picciò voi mi dovete dire io quale risposta gli devo dare a questo cristiano”.

Non ci sono solo pagamenti in denaro. A volte l’aiuto passa anche dalla consegna della spesa. Ecco allora, ad esempio, che la Frescogel di via Tiro a Segno, intestata a Giuseppe Ruggeri finto in cella assieme al suo presunto capo Paolo Calcagno, era uno dei luoghi più frequentati dalle moglie dei mafiosi detenuti. Arrivavano in macchina, entravano nel locale e uscivano con i sacchetti pieni di prodotti surgelati.

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