CATANIA – La storia criminale di Giovanni Brusca, che torna libero dopo 25 anni di carcere, passa anche da Catania. Assassino di Cosa nostra, killer spietato dei corleonesi, capo-mandamento di San Giuseppe Jato, pentito di mafia. Ma soprattutto Brusca è l’uomo – per sua stessa ammissione – che pigia il pulsante che aziona il tritolo di Capaci ed è l’assassino del piccolo Giuseppe Di Matteo.
Brusca, quando i corleonesi di Totò Riina vincono la guerra con i palermitani di Bontate, diventa una sorta di ‘portavoce’ per i catanesi. I messaggi che dovevano arrivare alla cupola passano da lui. Lo ‘scannacristiani’ tiene rapporti diretti con Nitto Santapaola, Eugenio Galea, Enzo Aiello. I vertici assoluti di Cosa nostra catanese dopo l’omicidio di Pippo Calderone (il primo padrino di Catania). In un interrogatorio storico del 1997, svolto dai pm Amedeo Bertone e Nicolò Marino, davanti alla Corte d’Assise di Catania Giovanni Brusca racconta di incontri che si susseguono periodicamente: “ogni settimana, ogni 15 giorni”. E non bisogna dimenticare i regolari colloqui con Ciccio La Rocca, il capo storico di Caltagirone (scomparso da poco).
I “contatti” con i catanesi li avrebbe iniziati nel 1981. Brusca li collega alla presenza di Angelo Siino (il ministro degli appalti della mafia) a Catania quando “ha la cantina Sigonella”. A metà degli anni 80 cominciano i rapporti con Enzo Aiello, da sempre il braccio finanziario del clan, ed Eugenio Galea, “il portavoce” dei Santapaola-Ercolano. Quando arrestano i due, Brusca racconta che avrebbe iniziato a dialogare con Alfio Fichera. Il periodo è quello del “1994-1995”, si legge nel verbale della storica udienza.
Ma facciamo un passo indietro. Ci sono due ‘importanti riunioni catanesi’ a cui Giovanni Brusca partecipa. Una sarebbe avvenuta nel 91 (Il pentito corregge la data durante l’audizione a Catania, perché a Palermo poco prima dichiara 92). In quell’occasione Nitto Santapaola gli avrebbe comunicato l’intenzione di far diventare reggente suo fratello Turi. Ma sarebbe servita l’approvazione di Totò Riina. Che Brusca dice ci sarebbe stata senza alcuna remora.
Giovanni Brusca arriva a Catania, dopo la strage di Capaci (“tra giugno e luglio 1992”), per partecipare al “battesimo” di Santo Mazzei.
DOMANDA – Chi erano i presenti nel momento in cui venne fatto uomo d’onore Santo Mazzei?
RISPOSTA – Io, Bagarella, Gioe`(Nino ndr), Benedetto Santapaola, Enzo Aiello, Eugenio Galea, Salvatore, u-zu-Turiddu Santapaola e se non ricordo male, Alfio Alfio, il nipote di Benedetto Santapaola, in questo momento non mi ricordo il nome.
DOMANDA – Alfio chi?
RISPOSTA – Ho fatto confusione, sbaglio con Alfio, Aldo Ercolano.
DOMANDA – Il nipote di chi ?
RISPOSTA – Di Benedetto Santapaola.
DOMANDA – E questo incontro e` avvenuto dove?
RISPOSTA – Alla periferia di Catania, non mi ricordo il punto preciso, cioè no non mi ricordo, non so individuarlo perché mi ci hanno portato.
DOMANDA – Ma fu fatto uomo d’onore in quella occasione o già lo era uomo d’onore?
RISPOSTA – No, e` stato combinato in quella occasione, cioè con il famoso rito, la pungitina del dito, la bruciatina della santina.
DOMANDA – E chi e` stato il padrino di Santo Mazzei?
RISPOSTA – Credo Leoluca Bagarella.
Quando esce di scena Fichera Brusca entra in contatto con Aurelio Quattroluni, uno dei vertici operativi del clan. Un rapporto che si consolida nell’ultimo periodo di latitanza del boss di San Giuseppe Jato. Il 20 maggio 1996 infatti è arrestato. Tre giorni dopo comincia a collaborare.
In una delle riunioni tra Quattroluni e Brusca si discute dell’omicidio di Gino Ilardo, cugino del capomafia di Caltanissetta Giuseppe Madonia. I santapaoliani vogliono ammazzare Ilardo, Quattroluni però sarebbe stato perplesso e avrebbe chiesto a Brusca di avere il “lascia passare” da Bernardo Provenzano. L’assassino del piccolo Di Matteo infatti dopo l’arresto di Toto Riina, tiene i contati con Binnu attraverso dei pizzini. Ma la risposta del capomafia corleonese non fa in tempo ad arrivare. Il 10 maggio 1996 in via Quintino Sella il gruppo di fuoco di Maurizio Zuccaro uccide Ilardo a un passo da diventare collaboratore di giustizia.
Quando catturano Brusca gli investigatori nel suo covo trovano un pizzino di Provenzano con su scritto “il cugino di Pillo”. Lo stesso killer nel 2015 racconta a Catania – nel processo per l’omicidio dell’infiltrato Oriente – che si tratta di Ilardo, il cugino di Piddu Madonia.
Quando Brusca è fuori dai giochi, il suo ruolo di ‘contatto” con i Santapaola e i Mazzei lo prende il suo erede criminale Vito Vitale di Partinico. È lui che mantiene i rapporti con i catanesi, in particolare con Pippo Intelisano (‘u niuru), Alduccio La Rocca (nipote del boss di Caltagirone Ciccio), Francesco Riela (il volto economico dei trasporti del clan) e il delfino di Mazzei Massimiliano Vinciguerra. Quest’ultimo è ucciso. Brutalmente.