Aiutò l’amico a suicidarsi: la chat, il piano di morte, il processo

Aiutò l’amico a suicidarsi: la chat, il piano di morte, il processo

Mirko Antonio La Mendola, 26 anni, di Caltanissetta, fu trovato senza vita su una spiaggia agrigentina
MORTE E MISTERO
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PALERMO – Rinviato a giudizio il ragazzo di diciassette anni che avrebbe aiutato un amico a suicidarsi. Lo ha deciso il giudice per l’udienza preliminare del Tribunale per minorenni di Palermo, Maria Pino, accogliendo la richiesta del pubblico ministero Paoletta Caltabellotta,

Mirko Antonio La Mendola, 26 anni, di Caltanissetta, fu trovato senza vita sulla spiaggia di “Punta Grande” tra Porto Empedocle e Realmonte, nell’Agrigentino. A causarne la morte è stato un colpo di pistola alla tempia.

Nel capo di imputazione viene contestano il reato di “aiuto al suicidio” perché “condividendo con Mirko La Mendola, a lui legato da profonda ed intensa amicizia, il programma da questi ideato di porre fine alla propria esistenza a seguito di una cocente delusione legata al mancato superamento di un concorso, prestando assistenza morale e materiale nelle fasi preparatorie ed esecutive dell’atto finale, coadiuvando la vittima nel realizzare le ultime volontà in relazione alle persone a cui dire addio, accompagnandola nel luogo prescelto per il suicidio, rimanendo sul posto fino al compimento del gesto estremo e dandogli materiale aiuto nella relativa esecuzione, rafforzava e comunque agevolava l’esecuzione del proposito di suicidio attuato da La Mendola attraverso l’esplosione di un colpo di pistola alla tempia sinistra, in conseguenza del quale riportava gravi lesioni cranio-encefaliche che ne determinavano il decesso

Il giudice ha respinto la richiesta dell’avvocato della difesa Calogero Buscarino di sottoporre il minore ad una perizia psichiatrica e valutare se al momento del suicidio fosse capace di intendere e volere.

La prima udienza si svolgerà il 2 marzo. L’8 febbraio proseguiranno gli accertamenti tecnici irripetibili sugli indumenti e l’arma della vittima alla presenza del legale dei familiari, l’avvocato Rosario Didato, che ha avuto un ruolo decisivo nell’accertamento dei fatti.

La verità sarebbe contenuta in una chat WhatsApp. Da una serie di messaggi dal contenuto agghiacciante è venuta fuori la terribile storia. La sera del 25 agosto La Mendola si trovava in spiaggia. Il colpo è partito da una pistola Beretta modello FS98, calibro 9X21 che la vittima deteneva legalmente. Quella sera si trovava al mare con l’amico. Si erano conosciuti in palestra ed era nato un rapporto sincero nonostante la differenza di età.

La Mendola era rientrato da Roma dove era stato assieme al padre per partecipare al concorso per diventare poliziotto. Sognava di indossare la divisa e ci ha sperato nei quattro giorni di prove romane. Tutte superate, alla valutazione finale però non fu giudicato idoneo. Fu una mazzata, ma La Mendola sembrava tranquillo.

Qualche giorno dopo con il diciassettenne era andato, a bordo della sua Peugeot 206, in provincia di Agrigento. Nelle chat si parla del coinvolgimento del minorenne che, in ragione dell’età, non avrebbe rischiato nulla. Di voglia di vedere un’ultima volta il mare. Di comprensione qualora il ragazzino non se la fosse sentita di arrivare fino in fondo. Di coraggio che mancava per sparare e di un aiuto offerto per mettere in atto quello che sembra un piano pensato nei minimi dettagli.


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