Cari ragazzi, andate via | La Sicilia è come il Titanic - Live Sicilia

Cari ragazzi, andate via | La Sicilia è come il Titanic

La tragedia siciliana chiama in causa un ampio spettro di correità. Nessuno può emendarsi. Nessuno può definirsi innocente.

La provocazione
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Caro Giovane Siciliano (affettuosamente in maiuscolo), se hai deciso di rimanere in questa terra, meriti un abbraccio e una pacca sulla spalla.  Perché mostri un coraggio da leone, mentre vai avanti, sotto il peso del disagio, aggravato da parole senza valore, nel deserto di soluzioni. Tutti parlano di te. Tutti si preoccupano per te. “Giovane”, sostantivo o aggettivo che sia, è il passaggio obbligato di ogni presa in giro travestita da promessa, di ogni naufragio addobbato da approdo, di ogni buonafede soffocata dagli eventi. Le prove sono pistole fumanti sul tavolo della disperazione.

Il potere momentaneamente al governo ha escogitato un’opzione ‘rivoluzionaria’ per il lavoro e l’ha chiamata, ovviamente, “Piano Giovani”, in omaggio al marketing della palingenesi. Sappiamo come è andata all’esordio e quale pasticcio sia stato generato dalla presunta rivoluzione scilabriana-crocettiana. Ecco la pistola fumante più recente, in un mix di incompetenze e aspetti che andranno chiariti, l’ennesima delusione per te, Giovane Siciliano. Poi c’è il resto. L’assidua circonvenzione delle aspettative altrui. I “giovani” sono il fulcro e il cardine di ogni orazione ispirata alla salvezza della Sicilia, carica dell’incenso dell’ipocrisia. Ripartiamo dai giovani. Salviamo i giovani. Bisogna che i giovani non rimangano scottati dalla politica.
Nelle cose che alla fine contano, non esistono però azioni in grado di avanzare sul suggestivo sentiero tracciato dal vocabolario. E non esistono un po’ per ignavia, un po’ per disinteresse. I disoccupati, giovani e vecchi, sono il sale del carrierismo elettivo. Si uniscono nella massa critica che spinge pochi alla gloria sulle ali di un dolore diffuso. Come privarsene, così, a cuore e portafoglio leggero?

Anche il potere momentaneamente all’opposizione ha sulla bocca i giovani traditi, giovani disillusi, i giovani disoccupati. E li cita a più non posso, come se i censori anti-crocettiani piovessero da Marte.  Con dolo dimenticano, gli ex regnanti di ieri, ora appiedati, in attesa che ripassi l’autobus della fortuna, di essere stati i magnifici protagonisti di un orrore consumato sulla pelle dei ragazzi. La tragedia siciliana chiama in causa un ampio spettro di correità. Nessuno può emendarsi. Nessuno può definirsi innocente.

Nel sottofondo delle colpe di tutti, Caro Giovane Siciliano, risultano perfino urticanti le parole che ti cascano addosso. Una beffa. Il meglio è stato svuotato di significato, oppure ha assunto un senso contrario alla sua lucentezza originaria. La parola “antimafia” per citarne una. Giovanissime generazioni sono cresciute e si alimentano con la memoria sacra di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, pensando che chiunque si definisca e si incoroni da sé “antimafioso” sia iscritto per forza nel solco di tali nobili antenati. Oggi, invece, l’antimafia è soprattutto l’anticamera dell’astuzia redditizia, il percorso facilitato per una casta di personaggi che hanno trovato riparo all’ombra di una grandezza che non gli appartiene. Perché gli appartiene il sotterfugio, la ricerca della poltrona, la sicurezza di guadagni e prestigio elargiti sulla scorta di un blasone sedimentato sul sangue degli eroi.

E c’è appunto la parola “lavoro”, utilizzata per contrabbandare  una assurda speranza, per perpetuare la bugia di un modo di procedere che si vuole spacciare per cristallino. Nel dizionario corrente della politica, a qualsiasi latitudine, lavoro vuol dire usura agganciata alla fame, perlina colorata nella mano piegata dall’alto verso la mano tesa dal basso in cambio della moneta sonante dei consensi. Non c’è notizia di prescelti che non abbiano sfruttato la fame di occupazione, per mietere preferenze da reinvestire.

Alla sommità delle prese in giro, c’è la parola oscena, dissacrata. “Futuro”. Il traguardo irraggiungibile, additato per distogliere gli occhi dal presente. Tutto si fa, tutto è imbroglio e caos, pur di mantenere un’aristocrazia dell’espediente che esibisce la divisione come fumo di copertura, mentre sostiene l’inciucismo trasversale di chi ha rispetto solo per la propria autoconservazione.

In questo naufragio, sulla nave che procede verso l’iceberg, con l’orchestrina che suona canzonette per distrarre i passeggeri, qual è l’orizzonte per i Ragazzi Siciliani che non sono ascrivibili ai potentati e vorrebbero una Sicilia fondata sul giudizio che premia i più bravi, non sulla vicinanza che salva gli iscritti al club? Semplicemente non c’è. Oppure si esprime con la parola definitiva che deve essere pronunciata, nella sua crudeltà, perché dire altro significherebbe mentire. Una parolina di quattro lettere. Sintetica e straziante. Fuga. Chi può, scappi, semini altrove i propri sogni, sia un vero siciliano d’oltremare in una patria lontana. Chi non può, resti sulla tolda del Titanic, con la forza dei valorosi destinati a soccombere. A contare i secondi che separano la chiglia dall’impatto finale.

 


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