Caro don Corrado, ci vuole | una missione per Palermo - Live Sicilia

Caro don Corrado, ci vuole | una missione per Palermo

Sarebbe la risposta migliore alle scritte sui muri inneggianti alla mafia, agli inchini blasfemi di simboli religiosi dinanzi alle abitazioni dei boss di Cosa Nostra e un contributo notevole per affrontare, ognuno nel proprio ruolo, il profondo disagio di vaste aree della popolazione.

Eccellenza Reverendissima, o semplicemente don Corrado,

in tanti siamo rimasti ammirati dal modo con cui lei si è presentato alla cittadinanza palermitana nella veste di vescovo appena ordinato. Colpiti non solo dal modo, sobrio, umano, sorridente e commosso, ma anche dal suo primo discorso pubblico, citando l’art. 3 della Costituzione italiana, diretto, appassionato. Particolarmente significativa, poi, la scelta di celebrare subito messa con i detenuti. Ed è per questo, Eccellenza, don Corrado, per la grande apertura e sensibilità immediatamente mostrate, che le faccio sommessamente una proposta, senza ulteriori premesse o giri di parole. Penso che occorra urgentemente una nuova “Missione Palermo” come quella inaugurata, con felice intuizione, dal cardinale Salvatore Pappalardo a cavallo degli anni 70 e 80.

Una Missione che veda impegnate sì le comunità cattoliche, ma con il coinvolgimento di tutte le fedi e le etnie presenti a Palermo e delle istituzioni civili. Per dare un messaggio, valido per tutta la Sicilia, netto e inequivocabile: non ci possono essere carità, pace e legalità senza giustizia sociale. Sarebbe la risposta migliore alle scritte sui muri inneggianti alla mafia, agli inchini blasfemi di simboli religiosi dinanzi alle abitazioni dei boss di Cosa Nostra e un contributo notevole per affrontare, ognuno nel proprio ruolo, il profondo disagio di vaste aree della popolazione, comprese quelle che si sono formate a seguito del drammatico esodo dei migranti. Si, perché mi ha impressionato, caro don Corrado, ecco il motivo della proposta, la scritta “W Totò Riina”, fresca di vernice, notata recentemente in un quartiere di Palermo, la città del martirio di don Pino Puglisi, dove sono stati massacrati numerosi servitori dello Stato e i magistrati sono costretti a misure di sicurezza da teatro di guerra.

Mi ha impressionato l’ennesimo inchino di una processione religiosa davanti casa di un mafioso, in un paese del catanese. Mi impressiona il degrado di alcune periferie urbane, o nel pieno centro, con le loro sacche di emarginazione e sofferenza. Pezzi di quartieri di Palermo, ma potremmo dirlo di una qualunque realtà siciliana, lo sappiamo, sono zone franche in cui non si riconosce altra autorità che quella dello stregone della porta accanto, spesso con le mani macchiate di sangue, che assicura la sua protezione al posto di uno Stato, da intendersi nelle sue articolazioni territoriali, avvertito come assente o, peggio, come nemico e oppressore. Uno Stato, soprattutto, giudicato incapace a dare risposte al bisogno impellente di lavoro, di casa, di cibo, di istruzione, di servizi sociali essenziali. In effetti, vecchie e nuove povertà imporrebbero in Sicilia un’attenzione massima delle istituzioni e della politica.

Invece, a parte i sindaci e le amministrazioni comunali lasciati soli a fronteggiare problemi immensi con scarsissime risorse finanziarie, siamo ostaggio di una politica inadeguata, dal respiro corto, scadente, indaffarata nei soliti giochi di potere per l’accaparramento di poltrone e privilegi, sempre più sorda e distante dal dramma dei disoccupati, dei giovani privati del proprio futuro, delle famiglie in affanno, delle imprese allo stremo, e sovente eticamente e penalmente compromessa, pure con la mafia. A ciò vogliamo aggiungere il disvelamento di un’antimafia di facciata e il crollo del mito della società civile, ritenuta finora buona “a prescindere”, inquinata da invasivi fenomeni corruttivi e collusivi.

Dall’altro lato, dal punto di vista della Chiesa, credo non ci si debba stancare di tradurre in una pastorale condivisa e diffusa gli insegnamenti di Giovanni Paolo II e di Papa Francesco che hanno solennemente affermato che dove c’è mafia non c’è Dio, che la richiesta sacrosanta dei più elementari diritti deve passare attraverso la legalità, che razzismo, discriminazione, corruzione sono peccati gravi e che denaro e potere non possono essere il fine della politica. Erano, del resto, tali verità, pane quotidiano del faticoso lavoro tra i ragazzi di Brancaccio del beato Pino Puglisi. Da qui l’esigenza di una “Missione Palermo” dei nostri tempi che non tenga disgiunte, al di là della doverosa distinzione tra sfera laica e sfera religiosa, la testimonianza operante della Chiesa, delle diverse religioni e delle organizzazioni di volontariato, e l’azione concreta di chi ha responsabilità pubbliche, responsabilità troppe volte tradite, per debellare le cause profonde della povertà, della negazione dei diritti e della conseguente sopraffazione mafiosa e malavitosa. Non c’è vera carità, vera pace e legalità senza giustizia sociale, e noi cattolici o cristiani, credenti e non credenti, dobbiamo averlo chiaro. Ecco, don Corrado, è il momento di una nuova Missione Palermo.

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