Catania, al via il consiglio comunale: "Istituzione fondamentale"

Catania, al via il consiglio comunale: “Sia una istituzione alta”

Roberto Commercio, presidente dal 2000 al 2008, spiega perché il senato cittadino è ancora fondamentale. Oggi la seduta inaugurale

CATANIA – “Il senato cittadino, nella sua complessità, è ancora il simbolo dell’unità della Città”. Punto. Una difesa appassionata da parte di chi conosce a menadito l’aula di Palazzo degli Elefanti, istituzione che riapre i battenti oggi dopo il voto di fine maggio scorso. A parlare è Roberto Commercio, presidente del consiglio comunale dal 2000 al 2008, quando Umberto Scapagnini reggeva le sorti dell’amministrazione comunale. Nato e cresciuto nella Democrazia cristiana, è stato fondatore e parlamentare del Movimento per l’Autonomia. Da anni però non si occupa più di politica: la osserva da lontano e ogni tanto dispensa consigli a chi lo avvicina, anche agli insospettabili.

Roberto Commercio, la posso chiamare signor presidente o si offende?

“No, non mi offendo affatto. Anzi, è un onore. Per molti sono solo ed esclusivamente il presidente, anche se ho ricoperto altri incarichi”.

Presidente, entriamo nel merito: possiamo ancora definire il consiglio comunale il senato della città?

“Non ho alcun dubbio e rispondo sì. È il punto di riferimento politico della cittadinanza e continua a essere, sotto il profilo amministrativo, il punto di convergenza delle forze del territorio”.

Cosa intende per punto di riferimento, cosa fa il consiglio comunale per essere tale?

“Le posso dire cosa non deve fare: non deve essere un organo di ratifica. Deve essere un organo di controllo e di iniziativa politica. I consiglieri e i cittadini devono avere piena avvertenza di ciò”.

In presenza di sindaci che hanno un pieno mandato popolare, che vuole dire essere organo di controllo?

“Questo è il sale della democrazia: ci deve essere chi governa e chi vigila. Sbaglia chi pensa che tra le due istituzioni ci debba essere una contrapposizione. Serve semmai la cogestione della cosa pubblica”.

Quand’è che c’è cogestione?

“Quando c’è un serio e responsabile confronto dialettico tra le parti”.

Spesso però non si ha la sensazione che il grande dibattito pubblico si sviluppi all’interno dell’aula, non trova?

“C’è un lavoro d’aula e prima ancora, ma più intenso, nelle commissioni. Il consiglio comunale ha degli strumenti di autonomia, che funzionano e producono effetti positivi”.

Ha fiducia negli attuali consiglieri comunali?

“Sì, ci sono quelli che studiano e hanno vera passione. Molto attenti al lavoro di verifica e alla dialettica politica. Certo, ci sono anche quelli che hanno meno attitudine, inutile negarlo. Ma è il consiglio, nel suo complesso, che esprime risultati”.

Negli anni, anche la stampa nazionale, ha puntato il dito sulla qualità della classe dirigente catanese. A partire dai luoghi di formazione del consenso, i caf.

“Io non sono tendenzialmente contro i caf, che peraltro erogano dei servizi per la cittadinanza e lo fanno con merito. Il problema non è dove viene selezionata la classe dirigente. Il problema è semmai un altro”.

Quale?

“Intanto: chi seleziona? E poi c’è un altro elemento fondamentale: cosa ti aspetti dal consigliere comunale? In questo caso la responsabilità è tutta in capo ai partiti. Ho avuto modo di confrontarmi con consiglieri provenienti dai caf e devo dire che ci sono delle persone competenti e determinate”. 

Vuole dire che il popolo è sempre sovrano?

“Sicuramente. Ma c’è di più: la storia recente ci insegna che dall’esperienza dei caf arrivano personalità che hanno raggiunto responsabilità importanti”.

Presidente, lei sembra andare contro la vulgata che vede nei caf un male: lo sa?

“Guardi, per me non si tratta di difendere o affossare qualcuno o qualcosa. Il male non stai mai né tutto da un lato né tutto dall’altro. Io dico che la politica, quindi la selezione della classe dirigente, è fatta da uomini. Se una persona proviene dai caf, conosce il territorio ed è capace… bene”.

Un tempo la selezione era in mano ai partiti. E ora?

“Non ci sono più i partiti, è vero. E con loro mancano quei luoghi fisici di aggregazione, confronto e formazione: è innegabile”.

È nostalgico di quell’epoca?

“Francamente no. Come dice Marco Follini, non si può vivere guardando lo specchietto retrovisore: si deve vivere stando al passo coi tempi. Certo, non lo nego, le classi dirigenti del passato avevano una preparazione più alta. C’erano le scuole di formazione di partito. Ma oggi non ci sono più: è un fatto”.

Molti consiglieri invece si sono formati nelle Municipalità, come giudica il fenomeno?

“Beh, anche io ho iniziato lì dentro. Era il 1980, cinque anni dopo sono diventato presidente della circoscrizione Borgo. Quella è davvero una buona palestra. Lo abbiamo visto negli ultimi anni, i consiglieri che vengono da quell’esperienza hanno portato qualità in aula. Sia sotto il profilo del fare che dei contenuti. La prova è nell’alto numero dei regolamenti votati negli ultimi cinque anni”.

Quando una consiliatura può essere definita buona o fruttuosa?

“Deve produrre in proprio, deve promuovere l’iniziativa. Questo serve a lasciare il segno. È lì che si capisce se c’è stata un’attività politica che si possa definire interessante e in sintonia con le richieste della città”.

Cosa ricorda della sua attività di presidente?

“Ero affettivamente, non politicamente, legato al sindaco Umberto Scapagnini. Prima di ogni seduta mi chiedeva di essere veloce perché aveva altri impegni. Poi però accadeva che, una volta presa la parola, non voler lasciare il consiglio comunale. Era così, amava confrontarsi. Era un fiume in piena”.

Cosa consiglia al presidente del consiglio che sarà eletto oggi?

“Non ho consigli da dare, se non quello di alzare il livello istituzionale. Di dare un profilo alto all’aula. Dialogare sì con l’amministrazione, mantenendo però distinti e distanti i ruoli. Un buon presidente deve lavorare sotto traccia, sapendo fare squadra. Davanti ai conflitti deve saper mediare, senza mai essere protagonista”.

E che rapporto bisogna avere con il personale del Palazzo, con gli uffici?

“Se non c’è sintonia con i dirigenti, non si va da nessuna parte. Il presidente non deve mai essere un uomo solo al comando”.

Il consiglio comunale dovrà prendere di petto le emergenze, a partire dal caso Fontanarossa, che si sono abbattute sulla città di Catania nel mese di luglio?

“Certamente, è quello il luogo deputato. È auspicabile un’iniziativa del Consiglio e della politica. Il sindaco Trantino è stato in prima linea e mi compiaccio per il profilo assunto. Il tempo delle polemiche, ora, deve lasciare spazio alla riflessione e alle decisioni”.   

Da ex democristiano e autonomista, come valuta il progetto dell’autonomia differenziata?

“Al momento c’è solo confusione, una gran confusione. Se non si pongono i giusti correttivi, vedo il Nord e il Sud allontanarsi sempre di più. Confido nella capacità del parlamento di riuscire a integrare quanto, da più parti, i sindaci stanno chiedendo”.

Presidente Commercio, da anni lei è fuori dall’agone politico: ha mai pensato di tornare?

“Non ci ho mai pensato e comunque non credo ci sia la necessità di avermi in campo. Non le nascondo, però, che se dovessi trovare le condizioni per un impegno politico, per dare un contributo, ci penserei”. 


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