La mafia dei piani alti, Riccio: |"Rompere con i compromessi" - Live Sicilia

La mafia dei piani alti, Riccio: |”Rompere con i compromessi”

La verità del Colonello dei Ros che ha gestito la collaborazione di Luigi Ilardo, la fonte Oriente che avrebbe portato lo Stato a un passo dalla cattura di Bernardo Provenzano (nella foto l'incontro a Mezzojuso). Riccio è il teste chiave del processo sul delitto dell'infiltrato ucciso nel 1996.

L'intervista
di
6 min di lettura

CATANIA – Sorride Michele Riccio. Sorride alla domanda (che definisce difficile) su “quale sia stato ed è il suo rapporto con la Catania di Piazza Verga, quella del Palazzo di Giustizia”. Colonello del Ros e ufficiale della Dia: Riccio è il militare che ha gestito la collaborazione di Luigi Ilardo, l’infiltrato Oriente che avrebbe portato a un passo dalla cattura di Provenzano. L’esponente mafioso della famiglia di Caltanissetta fu freddato il 10 maggio del 1996 in via Quintino Sella a Catania: cinque giorni prima dell’incontro romano con cui avrebbe ufficializzato la collaborazione con gli inquirenti. Michele Riccio, il teste chiave nel processo che si celebra a Catania sul delitto, si racconta in un’intervista fiume. Un’analisi lucida sulla mafia, quella dei “piani alti”. Il dolore per l’epilogo della collaborazione di Gino Ilardo e la speranza di una verità processuale che non si fermi ai nomi di chi ha sparato. E’ deluso Michele Riccio, un uomo dai sogni soffocati e piegati.

Colonello Riccio, il sistema mafia di oggi è diverso da quello del passato?

Sicuramente è cambiato. Non c’è la violenza che c’era negli anni ’90. I personaggi sono diversi, anche la “caratura” è diversa. Sicuramente quell’inabissamento di cui parlava Provenzano si è verificato. Vedo una mafia molto più pericolosa da un lato perché ha ripreso la vecchia linea del “colloquio” con le Istituzioni, ma in una maniera molto più nascosta e attenta.

Collaboratori di giustizia e indagini. C’è chi dice che c’è un sovraffollamento di pentiti. Lei cosa ne pensa?

Io penso che non è errato quello che dicono. Io ho sempre cercato di portare avanti la linea di fare una selezione dei collaboratori di giustizia affinché i magistrati che si occupano di criminalità organizzata di stampo mafioso, camorristico e ndranghetista potessero avere la gestione di personaggi di massimo rilievo, in modo da poter indirizzare il massimo sforzo con il massimo supporto su contesti reali. Raccontiamoci la verità, fare un riscontro da dove nasce un pentito e come nasce un pentito è un compito molto arduo. Per cui ci vuole attenzione, ci vuole tempo, ci vogliono collaboratori validi e ci vuole un supporto molto importante.

Nella sua carriera professionale ha mai sentito parlare del Protocollo Farfalla?

No, non ne ho mai sentito parlare. Ho solo visto e riscontrato già ai tempi della nascita del Sisde, che è nato da una costola delle sezioni speciali Anticrimine del Generale Dalla Chiesa, che gli uomini che ne facevano parte hanno improvvisamente cominciato a frequentare l’ambiente carcerario. Di questo ne ho avuto conoscenza diretta. E, quindi, capì subito che molti movimenti erano indirizzati a una precisa strategia.

Cosa ricorda del Generale Dalla Chiesa?

Di Dalla Chiesa ricordo tutto, è stato la causa dei miei “mali”. Mi ha insegnato a lavorare, mi ha insegnato cosa significa essere un ufficiale dei Carabinieri, mi ha insegnato ad avere rispetto dei miei uomini, rispetto del collaboratore e ad avere fiducia nelle istituzioni. E come diceva sempre il Generale Dalla Chiesa: “Tu mi piaci perché hai fantasia”; cioè saper essere sempre diversi nelle attività investigative. Per me è stato la perfetta figura del comandante come dovrebbe essere.

Secondo lei l’informativa Oriente è stata ben utilizzata a livello investigativo?

No. Il contributo di Ilardo poteva essere molto più importante. Per ogni suo contatto si poteva aprire un filone investigativo. Ad esempio dando delle informazioni agli ispettori della Dia di Catania, questi hanno saputo esaltare le informazioni di Ilardo, scoprendo tutta una struttura di Cosa nostra che fino a quel momento non era nota. Io penso che per la prima volta nella storia investigativa del contrasto alla mafia abbiamo avuto un’occasione irripetibile, perché per la prima volta c’era un mafioso che parlava in diretta della regia di Cosa Nostra.

Che contributo poteva dare Gino Ilardo?

La collaborazione di Ilardo secondo me sarebbe stata devastante, quasi ai livelli di Buscetta, perché avrebbe parlato di quella connessione Stato-Mafia. Non si sarebbe fermato ad un elenco di nomi. La vera mafia non è quella che c’è tra le varie cosche.

Quando ha saputo degli arresti dei presunti mandanti e esecutori dell’omicidio Ilardo cosa ha pensato?

Da una parte sono stato contento. Dall’altra parte ho pensato che quello era semplicemente il primo passo. Spero che non sia l’ultimo. La storia giudiziaria molte volte mi fa vedere che, non per colpa dei magistrati che operano, ci si ferma a livello criminale in modo da far terminare la storia lì. Mentre la parte mafiosa importante, quella che permette alla mafia di rigenerarsi viene tralasciata.

Una volta Ilardo le domandò: “Lei si fida dei suoi vertici?” Lei come reagì?

Mi fece comprendere che qualcuno sopra di me era colluso con la mafia. E quando Ilardo ha fatto questa battuta ho intuito la delicatezza del contesto.

Oggi si fida delle Istituzioni?

Io ho grande rispetto per le Istituzioni e credo nelle istituzioni nel senso lato del termine. Ammiro il lavoro di quei pochi magistrati, di quei pochi poliziotti, di quei pochi carabinieri, di quei pochi finanzieri.

Sono veramente così pochi?

Io penso che siano pochi nel senso che sono pochi quelli che hanno veramente la possibilità di lavorare. Perché anche i mezzi sono pochi. Anche io per tutta la vita ho combattuto con la povertà dei mezzi che ci venivano messi a disposizione. E infatti quando nacque il Ros io ho chiesto di andare via perché ero stanco di vivere con queste povertà dove si facevano moltissime promesse, e poi non avevamo nulla. Se non avessimo avuto delle risorse personali non avremmo potuto lavorare, perchè si arrivava fino ad un certo punto. Per cui era un costante penalizzare le nostre famiglie. Anche questa indagine, oltre che provocare grande dolore per quello che è successo a Ilardo, ha creato grandi sofferenze alla mia famiglia.

Che rapporto ha con questa città, con Catania?

Catania mi è sempre piaciuta di più rispetto a Palermo. L’ho vista una città viva, costantemente in movimento. Aveva e ha molte risorse anche dal punto di vista culturale e artistico. Io non mi fermavo solo ai problemi di mafia, mi piace sempre conoscere i posti dove vado. Ho visto che Catania ha grandissime potenzialità, che forse non riesce a esprimere.

E con la Catania di Piazza Verga? Del Palazzo di Giustizia?

E’ una domanda difficile e molto particolare. Le posso dire che ho conosciuto al termine delle indagini magistrati, e come vedo qualcuno ce n’è ancora oggi, che hanno voglia, coraggio, determinazione di portare avanti il loro lavoro. Un lavoro difficile che non porta alcun vantaggio né personale né di notorietà, anche perché chi tratta queste materie è sempre un po’ scomodo. Ma ho avuto anche altre sensazioni nettamente negative.

Ama ancora la divisa dei carabinieri?

Certo. L’Arma dei Carabinieri mi ha dato tantissimo. Rifarei ogni scelta. Ho sempre visto il mio lavoro come un compito impegnativo e che si dovesse fare nel rispetto del mandato ricevuto. Io sono legato alle istituzioni in genere, non alle persone.

Ha un desiderio che vorrebbe realizzare nella sua vita?

No, nessuno.

Si sente appagato?

No. Mi sento deluso e sono molto scettico sul futuro. Il mio desiderio, forse, è che per tutto ciò che è legato al mio lavoro di Grande Oriente si avesse il coraggio di rompere con certi compromessi.

 


Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI