Catania, muore dopo mesi senza diagnosi: aperta inchiesta - Live Sicilia

Morto dopo due mesi senza diagnosi, aperta un’inchiesta

Il caso denunciato dai familiari di un uomo deceduto per aspergillosi: "Cura iniziata in ritardo"

CATANIA – Prima che sparisse dietro la porta di un pronto soccorso F.L. è riuscito a salutare i propri figli. Era sveglio, vigile, e riusciva a parlare nonostante l’enorme stanchezza e difficoltà a respirare di cui soffriva da settimane. Ma tre giorni dopo, quando finalmente i suoi figli riescono a vederlo, il signor F.L. è in coma, tanto che deve essere trasferito in un reparto di rianimazione, dove morirà dopo quasi due settimane.

La dolorosa vicenda si è svolta nell’aprile scorso tra gli ospedali Cannizzaro e il Nesima Garibaldi di Catania, ma è stata preceduta da un lungo calvario di esami, diagnosi che non arrivavano, mancati appuntamenti. Una storia riassunta nella denuncia da uno dei figli di F.L., che chiede un’indagine per sapere se ci siano state condotte negligenti da parte dei sanitari che hanno avuto in cura il padre, e su cui la Procura di Catania ha aperto un fascicolo.

Difficoltà a respirare

Nei primi giorni di febbraio il signor F.L., 72 anni, si accorge di essere sempre affaticato e di respirare in affanno, oltre che di avere perso molto peso, e per questo, dopo una visita dal medico di base, fa con urgenza una Tac al torace. I medici dell’ospedale di Giarre scrivono nel referto della Tac che “il quadro descritto appare riferibile in prima ipotesi a processo flogistico di tipo infettivo”, e prescrivono un controllo specialistico.

Pochi giorni dopo, uno pneumologo catanese prescrive a F.L. un ricovero urgente per fare una broncoscopia e avere in questo modo una diagnosi esatta della sua malattia, e mette in contatto la famiglia del malato con l’ospedale Cannizzaro. Dopo una serie di esami, fatti per escludere una tubercolosi – una normale prassi – il signor F.L. si ricovera il primo di marzo per effettuare la broncoscopia urgente, e nel frattempo continua una terapia di antibiotici prescritta dallo pneumologo. Pochi giorni dopo il malato è dimesso dall’ospedale, con un appuntamento per il 23 di marzo successivo per una visita di controllo e il ritiro dell’esame citobatteriologico, sulla base del quale si sarebbe poi fatta una diagnosi e stabilita una terapia.

Un esame che non arriva

Il giorno stabilito però il referto non c’è, e bisogna aspettare ancora undici giorni, fino al 4 aprile, per averlo. Giorni in cui i familiari di F.L. si preoccupano, perché nel frattempo sono passati due mesi senza una diagnosi né terapia e la stanchezza è sempre più grande. Giorni in cui provano a rivedere lo pneumologo, che però è costretto ad allargare le braccia: senza un referto citologico, si legge nella denuncia presentata da uno dei familiari, lo pneumologo “poteva prescrivere soltanto una terapia tampone”.

Anche quando, più di un mese dopo l’esame, arriva il referto, sembra che non ci sia nulla di cui preoccuparsi: una nota infatti indica un “follow up tra circa 8 settimane”, quindi, si legge ancora nella querela, “non prospettando una situazione particolarmente allarmante visto che, a loro parere, F.L. avrebbe potuto aspettare sino al 1 giugno 2022 per un ulteriore controllo”.

I familiari di F.L. contattano lo pneumologo, per mostrargli i risultati di tutti gli esami e capire se è possibile partire con una terapia. Ma per un caso sfortunato, il giorno dell’appuntamento lo pneumologo non è in studio e la prospettiva è di attendere ancora. I figli di F.L. a quel punto si consultano e, spaventati che aspettare ancora potrebbe fare peggiorare le condizioni del padre, decidono di andare al pronto soccorso dell’ospedale Cannizzaro.

Il pronto soccorso

Dodici aprile: F.L. entra in pronto soccorso nel pomeriggio. È “lucido e autonomo”, si legge nella denuncia, tanto che “scendeva le scale e saliva e scendeva dall’auto senza nessun ausilio”. Il signor F.L. sparisce dietro la porta tagliafuoco del reparto, perché ai familiari non è concesso accedere. I figli spiegano tutto agli infermieri del triage e si preparano ad affrontare una lunga notte fuori dal Cannizzaro. Quattro ore dopo il ricovero arriva la prima chiamata dal medico di turno, che spiega ai familiari che il padre “ha solo bisogno di un piano alimentare per rimettersi in forze”, come si legge nella denuncia. I figli spiegano il problema ai polmoni, già raccontato al triage, e consegnano la copia del referto della broncoscopia.

Poco dopo la stessa dottoressa comunica ai familiari che F.L. deve restare tutta la notte in osservazione, e uno dei figli consegna agli infermieri la valigia con i suoi effetti personali e il telefonino, nella tasca anteriore della borsa, pregando di farglieli avere. Inizia, a questo punto, una serie di disperati tentativi dei familiari di sentire il padre per avere sue notizie: nei giorni successivi, non ottenendo risposta, chiedono agli infermieri di portare a F.L. la borsa con il telefono, ma il cellulare continuerà a squillare a vuoto.

L’unico filo con l’ospedale rimangono i medici, con cui i figli di F.L. riescono a parlare diverse volte tra il 13 e il 15 aprile. All’inizio con rassicurazioni sul buono stato del padre, che, anche se in presenza di una “sovrainfezione”, è ancora vigile e stabile. Poi si prospetta un trasferimento in un non meglio precisato reparto di malattie infettive a Palermo, dato che il reparto del Cannizzaro è riservato al Covid. Poi all’alba del quarto giorno di ricovero la comunicazione di un “brusco e improvviso peggioramento durante la notte”, dovuto, secondo quanto riferisce il medico che parla con uno dei figli e secondo quanto riportato nella querela-denuncia, “all’età avanzata e alla co-morbilità”. Il signor F.L. è sottoposto a ventilazione meccanica non invasiva, e solo a questo punto a uno dei figli è concesso di entrare nel reparto, dove il padre è attaccato alle macchine e privo di sensi.

Nessuno spiega, si legge nella denuncia, le cause dell’improvviso peggioramento e della perdita di conoscenza, che “a tutt’oggi – si legge nella denuncia – non riusciamo a comprendere, visto che F.L. non era affetto da alcuna comorbilità di rilievo”, e soprattutto visto che poco tempo prima si era parlato di ulteriori controlli solo a giugno. A questo punto al familiare di F.L. è comunicata la decisione del trasferimento al reparto di Rianimazione dell’ospedale Garibaldi Nesima. In quella stessa occasione restituiscono la valigia di F.L.: il telefonino è sempre rimasto nella tasca anteriore.

Il ricovero e la morte

La prima cosa che i medici del Nesima chiedono, all’arrivo di F.L. e dopo aver parlato con i familiari, è una broncoscopia d’urgenza, dato che quella fatta al Cannizzaro è ormai più vecchia di un mese. L’indomani, ovvero più di due mesi dopo i primi contatti con i medici, arriva una diagnosi: F.L. è affetto da aspergillosi, una infezione da funghi, a cui si era aggiunta una sovrainfezione.

Come si legge nella denuncia, i medici non hanno specificato se la sovrainfezione fosse di origine nosocomiale o provocata dalla terapia antibiotica fino a quel momento somministrata. In più, la dottoressa del Nesima dice ai figli di F.L. che dal referto ottenuto dal Cannizzaro non si riusciva a capire di che infezione si trattasse.

A questo punto F.L. è trattato con antimicotici, ma dopo qualche giorno la sua situazione si aggrava, fino a morire nella notte tra il 25 e il 26 aprile. Ai figli del malato il primario di Rianimazione del Nesima spiega che la terapia antimicotica non ha dato gli effetti sperati, “forse – si legge nella denuncia – anche per le gravi condizioni in cui era giunto in Reparto, dopo i tre giorni trascorsi al Pronto soccorso, e il ritardo con il quale era stata iniziata la cura, escludendo, sulla base degli accertamenti diagnostici effettuati in Reparto, che avesse co-morbilità”.

A stabilire se ci siano responsabilità in questa vicenda sarà ora la Procura di Catania, che ha aperto un fascicolo in seguito alla denuncia dei familiari.


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