C'è un uomo solo al comando | Splendori e macerie dell'orlandismo - Live Sicilia

C’è un uomo solo al comando | Splendori e macerie dell’orlandismo

Nessuno, più di lui, ha la capacità di regnare. Come dimostra l'ultima seduta a Palazzo.

C’è un uomo solo al comando, il suo nome è Sinnacollanno. Lo osservi – pugnace, col ciuffo proverbiale, con la silhouette appesantita – mentre ipnotizza e doma il consiglio comunale, in un pomeriggio di lampi e scrosci di pioggia a Sala della Lapidi. E ti chiedi se, per caso, non sia un deja vu, uno scherzo del tempo che si ripropone e se non manchi al contesto la pillola rossa di Matrix che svela il trucco, risvegliando il protagonista. E se pure fossero fotogrammi di repertorio, chi noterebbe la differenza?

Di quale Leoluca Orlando trionfante stiamo parlando? Di colui che inventò il marketing della Primavera e ne inscatolò l’essenza? Del profeta che cambiò – nessuno potrebbe negarlo – l’immagine di una città nota soltanto per il sangue dei suoi morti di mafia sul marciapiede? Dell’alchimista che creò ‘La Rete’, anticipando la politica che si restringe e si espande secondo le necessità del condottiero in sella?

Niente mai offusca lo specchio che riflette un’ombra familiare. I consiglieri nominalmente avversi ne subiscono il carisma, nel corso della seduta di cui brevemente si narra. E vengono sconfitti, uno per uno. Abdica Fabrizio Ferrandelli, oratore di un discorso timido, con venature di resa. Dov’è finito il ragazzo impertinente e coraggioso? Combattono valorosamente il grillino Ugo Forello e Sabrina Figuccia – figlia e sorella d’arte – invano, perché loro non passeranno alla storia.

Tutto viene inghiottito dal blob dell’orlandismo che – un giorno si narrerà – durò più del cuffarismo e sta al crocettismo come le piramidi stanno ai castelli di sabbia. Tutto viene giustificato, ricomposto, inserito in una macchina delle suggestioni. Si discute della relazione degli ispettori del ministero con i loro rilievi, per la cronaca.

E la materia – incandescente – non conta. Conta di più l’abilità del domatore che smussa le inimicizie, convincendo i recalcitranti, anestetizzando le difformità di pensiero, guadagnandosi un applauso corale che il suo quasi omonimo presidente del Consiglio smorza per dovere di protocollo, rendendo simili a comparse gli altri intervenuti. Prevale così la maschera del Sinnacollanno, santo patrono a prescindere, feticcio di una città desolata che non gli volta mai le spalle, pur alternando soprassalti di amore e di odio.

Perché Palermo è davvero desolatissima. Ma, nei confronti di colui che la governa biasica preghiere e bestemmie, come se fossero un’unica lingua. Mentre lo detesti, gli vuoi bene. Mentre lo critichi, ti senti in colpa. Ecco la sostanza più riuscita del potere capace di legare una comunità a sé, col mito della propria indissolubilità. Eppure, dietro la maschera, le crepe amministrative sono visibili. Chi si avventuri oltre il quadrilatero del Teatro Massimo annoterà le macerie, non soltanto gli splendori che pure ci sono.

Come è lacera, Palermo, negli spaventapasseri delle sue periferie abbandonate. Com’è caotica nel suo traffico talmente irredimibile da costituire quasi una punizione divina. Com’è contorta nei dissennati cantieri che hanno trasformato la mobilità in una prigionia. Com’è sporca, sudicia, pervasa da violenti – siano essi posteggiatori o baby gang che scorrazzano dalle parti dell’Università – che hanno eletto in strada il proprio dominio, sfruttando l’altrui indifferenza. Com’è complessivamente diversa dalla sua epopea rinascimentale.

E come è decrepita, Palermo, nelle strutture del suo sotto-comando – sempre gli stessi, sempre quelli – che hanno chiuso ogni via a eventuali soffi di aria nuova. E quanto si mostra timorosa nell’afasia dei suoi intellettuali, incapaci di immaginare un contro-racconto che metta insieme le contraddizioni più cocenti e che non si esaurisca nell’agiografa, nell’inchino.

Il consiglio comunale, infatti, è solo lo specchio di una riverenza. La seduta a Palazzo, sotto lampi e scrosci di pioggia. questo racconta: il diario di una sottomissione, avvinta a una incessante seduzione. C’è un uomo solo al comando, il suo nome è Sinnacollanno. C’è una città che vede soltanto quel ciuffo e quel riflesso nello specchio. E sogna e maledice e si contraddice, sempre scansando la pillola del risveglio.


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