PALERMO – Litigi, divergenze profonde sui temi, crollo dei voti e, di recente, il flop al referendum con un’affluenza più bassa di 7 punti rispetto al resto d’Italia. In Sicilia il ‘Campo largo’ è messo alle strette dai contrasti interni ai partiti, ma ieri ha dato prova, quasi al completo, di riuscire a scendere in piazza attorno a un tema portante: la sanità.
Il corteo organizzato dal M5s ha fatto il pienone, presenti esponenti di Cgil, Avs, Pd, Controcorrente e numerosi movimenti.
L’aspirante coalizione, dopo gli scossoni del passato – con le primarie servite a nulla prima delle regionali e la fuga di alcuni esponenti di primo piano – vive tra opportunità e difficoltà. Italia Viva non ha partecipato al corteo con Giuseppe Conte e sotto la bandiera del Pd cova la brace dello scontro interno. Aspettando il 2027.
“Costruire l’alternativa a Schifani”
Dal mondo sindacale ai partiti, il mantra del centrosinistra è “costruire l’alternativa a Schifani”, un obiettivo condiviso, che si scontra con un problema di non poco conto: il metodo.
Non ha dubbi Fabio Venezia, deputato regionale del Pd: “Con un’opposizione unita, seria e credibile si può costruire l’alternativa che non sia ridotta a forza di testimonianza. Un’opposizione che tocca i temi veri che interessano ai cittadini, a partire dalla sanità, un’opposizione che diventi anche sociale e non solo parlamentare”.
Sulla ‘credibilità’ dell’opposizione al governatore, Fabrizio Micari, componente del direttivo regionale di Italia viva, critica l’operato dei deputati regionali.
“Noi abbiamo intenzione di costruire un’alternativa a Schifani – spiega a LiveSicilia l’ex rettore dell’università di Palermo – questo è un governo fallimentare, io credo che in qualunque regione civile una situazione per cui ci sono 3mila referti, migliaia di prestazioni inevase, darebbe luogo a un commissariamento della sanità e bisognerebbe chiedere le dimissioni di Schifani”.
Micari accusa: “Purtroppo in Sicilia c’è contiguità col potere e i partiti dovrebbero prendere una decisione. Non è possibile che all’Ars il centrosinistra faccia passare la manovra perché ritorneranno le mance per i diversi deputati. Il centrosinistra deve decidere se vuole fare opposizione”.
Il perimetro e le divergenze interne
Non si può parlare di ‘Campo largo’ del centrosinistra senza delimitare il suo perimetro: dovrebbero convivere Avs, Controcorrente, M5s, Pd e Italia Viva. Per citarne alcuni.
E proprio dall’opposizione più intransigente arriva la bordata a Italia Viva: “Mi fa sorridere – commenta Ismaele La Vardera, leader di Controcorrente – che uno come Faraone che a Palermo governa col centrodestra possa erigersi a paladino dell’opposizione. Dove è stato in questi due anni quando ho denunciato lo scandalo delle mancette e io ho rifiutato questo tipo di cose? Non ho nulla di personale contro Italia Viva e la sua squadra, ma queste opposizioni o capiscono che si mettono attorno a un tavolo, attorno a un macro tema, o la destra governerà per i prossimi 20 anni”.
Le spaccature nel Pd siciliano
Ricorsi, veleni, dimissioni, le accuse dei brogli al congresso e le vendette. Il Pd siciliano, che dovrebbe essere l’ombelico della coalizione, naviga tra le burrasche dei litigi. Questo può rappresentare un freno per l’intero ‘Campo largo’ regionale, ne è convinto La Vardera, quando ragiona sugli assist indiretti che arrivano dai comportamenti dell’opposizione alla maggioranza.
“Il centrosinistra si siede attorno ai tavoli solo per dire chi deve farla da padrone tra Barbagallo e gli anti Barbagallo – sottolinea l’ex Iena – o per scegliere il prossimo candidato presidente. Forse dovremmo prendere appunti dal centrodestra che litiga ma all’esterno appare unito. Mentre la Sicilia affonda noi stiamo a litigare per il candidato unico perché la gente non può curarsi”.
Secondo Venezia, invece, la fase congressuale del Pd siciliano è determinante per la costruzione del futuro del partito: “La mancanza di trasparenza nelle regole e la totale chiusura rispetto alle primarie hanno fatto diventare il congresso solo una mera formalità per rieleggere un segretario delegittimato dagli stessi iscritti che per il 55% non lo hanno votato nonostante il voto palese e la candidatura unica. Sarebbe il caso di prenderne atto, a Palermo come a Roma, prima delle importanti sfide elettorali che ci attendono nei prossimi anni”.
Cosa insegna il referendum
Anche l’ultimo referendum non è riuscito a riunire il centrosinistra. “Non c’è dubbio che abbiamo uno scarto di consenso delle forze democratiche rispetto al resto del Paese”. Alfio Mannino, segretario generale della Cgil in Sicilia, commenta il risultato siciliano del referendum, che ha registrato il 23% dei votanti, ben 7 punti in meno rispetto alla media nazionale.
“Alcune forze politiche – aggiunge Mannino – hanno esplicitato di non sostenere le ragioni del referendum, politicizzare la valutazione politica significa banalizzarlo. Il corpo che si è espresso è andato oltre il campo largo, 810 mila elettori hanno votato sì, è ben oltre la rappresentanza del centrosinistra”.
Secondo Mannino, “con i temi che stanno alla base della campagna referendaria si può provare a dare continuità nell’azione politica”. Ma i quesiti sul lavoro, che puntavano all’abrogazione delle norme del Jobs Act voluto dal governo Renzi, hanno segnato un solco nell’assetto del ‘campo largo’, non solo siciliano.
Italia Viva, uno degli attori principali del centrosinistra, marca le distanze. “Mi è sembrato un referendum assolutamente inopportuno e ideologico – dice Fabrizio Micari – in un momento in cui si sta tentando di costruire una coalizione di centrosinistra. Sono quesiti ideologici – aggiunge – antichi, è stato un referendum contro il governo Renzi al posto di agire contro il governo Meloni”.
Perplesso anche Fabio Venezia: “I dati negativi dell’affluenza in Sicilia confermano le preoccupazioni da noi espresse più di un mese fa: e cioè che occorreva posticipare il congresso per dedicarci anima e corpo come partito alla campagna referendaria che ha visto la nostra segretaria Elly Schlein schierata in prima linea”.
Secondo Ismaele La Vardera, leader di Controcorrente, “il referendum è stato uno scatafascio perché abbiamo invitato le persone, in un momento di profonda sfiducia verso la politica, ad andare a votare. Dobbiamo portarle a credere nella politica. Il lavoro che va fatto è quello di tornare a dare credibilità al fronte anti schifani per poter dire che c’è una alternativa possibile”.
Il futuro possibile e il presente difficile
Mannino prova a tracciare la strada: “Bisogna guardare in profondità ciò che c’è nei bisogni della società siciliana e dare a questi bisogni una proposta concreta su cui costruire una capacità di iniziativa e mobilitazione. I litigi vanno superati, sono del tutto deleteri, il punto è che se i leader dei partiti guardassero meno agli interessi di parte e di bottega si troverebbe un campo di azione condiviso”.
Il futuro possibile si scontra con la realtà. Italia Viva non è scesa in piazza con il M5s, impegnato nell’iniziativa contro la sanità del governo Schifani. Ma il corteo di ieri lancia un segnale: nonostante i contrasti interni, il ‘Campo largo’ può esserci in vista del 2027.