CATANIA – L’ultima inchiesta della Guardia di Finanza – denominata Report – ha permesso di fermare la riorganizzazione del clan Laudani funestato dagli arresti e processi scaturiti dal maxi blitz Viceré del 2016. La cosca – conosciuta come i ‘Mussi i ficurinia’ nella malavita catanese – è riuscita a creare nei decenni fortini criminali in vari comuni dell’hinterland etneo.
Nelle oltre mille pagine della Cnr – pubblicata in esclusiva sul Mensile S in edicola – firmata dal comandante del Gico della Guardia di Finanza, Pablo Leccese, un capitolo è dedicato alla fotografia storica della famiglia mafiosa dei Laudani che prende il nome dal patriarca, deceduto nel 2017, Sebastiano conosciuto come “Iano u grandi”. (Il nomignolo mafioso della cosca “Mussi i ficurinia”, invece, come racconta il pentito Giuseppe Laudani, sarebbe collegato a una vecchia zia che «Aveva i baffi e quando ci baciava ci pungeva»).
Il padrino mafioso è originario di San Cristoforo, pare “facesse l’allevatore di capre”. Da pastore a ‘contrabbandiere” di carne. È con questa attività illecita che sarebbero state costruite le fondamenta del clan mafioso. In poco tempo i Laudani diventano titolari di macellerie e allevamenti di bestiame nella provincia e nell’hinterland. Il quartier generale è il quartiere di Canalicchio. In via Pietro dell’Ova c’è la macelleria che diventa la tomba, nell’estate del 1990, di Santo Laudani, uno dei figli del boss.
Un omicidio che si inserisce in una sanguinaria guerra di mafia. I Laudani mettono le mani nell’estorsione, nell’usura e nelle rapine. Una storia criminale che si racconta anche attraverso “alleanze poi rinnegate”.
“Le carte giudiziarie – scrivono gli investigatori – parlano di una grande amicizia col boss Alfio Ferlito, poi ucciso nell’estate dell’82 mentre viene trasferito da un carcere all’altro, sulla circonvallazione di Palermo, dei buoni rapporti con gli ‘Sciuto Tigna’ e il gruppo di Pippo Ferone ‘cammisedda’ nonché con la ‘Savasta’ di Nino Puglisi e del suo braccio destro Orazio Nicolosi ‘u lisciu’.Ci sono anche gli alti e bassi nei rapporti con la famiglia catanese di Cosa Nostra, i Santapaola-Ercolano. La faida cruenta è con i Pillera-Cappello, che poi diventano Cappello-Bonaccorsi.