"Basta con il ghetto dei parenti | L'antimafia appartiene a tutti" - Live Sicilia

“Basta con il ghetto dei parenti | L’antimafia appartiene a tutti”

Chiacchierata con Claudio Fava, dopo la polemica su 'I cento passi'. "Quella storia è anche mia".

Claudio Fava rammenta ancora quel giorno, quando fu invitato a parlare nella qualità di vittima di mafia. E racconta: “Ci sistemarono in una sorta di tribunetta, come in un museo, in un giardino zoologico. Ecco i parenti di.. Solo la scritta mancava. Io mi sentivo in difficoltà, imbarazzato. E pensavo, allora, quello che penso ancora. L’antimafia dei parenti, in certe occasioni, fabbrica il ghetto in cui rinchiudersi. Invece, la vera antimafia dovrebbe essere di tutti, nessuno escluso”.

La ferita è fresca, per il candidato di sinistra alle elezioni regionali. Appena ieri, Giovanni Impastato, fratello di Peppino, ha formulato un atto d’accusa rivolto alla sua lista ‘I cento passi’. “Abbiamo appreso che una lista per le prossime elezioni regionali ha nel simbolo la scritta: ‘Cento Passi per la Sicilia’. È chiaro a tutti il riferimento a un film con quel titolo, ma pure a mio fratello Peppino, alla nostra storia e alle lotte che nel nome di Peppino abbiamo condotto in questi quarant’anni, spesso in grande solitudine, per salvarne la memoria e ottenere giustizia. Non possiamo non sottolineare che coloro che hanno avuto un ruolo importante in questo percorso non sono stati neppure informati”.

La risposta stringata, a stretto giro di agenzia: “I cento passi è un’immagine che appartiene ai siciliani onesti. Per noi è la proposta di un grande patto civile di donne e uomini liberi. Questa immagine parla di Peppino Impastato come di Giuseppe Fava e di tutti gli altri caduti, tanti, per restituire dignità a questa terra”.

Adesso, c’è l’opportunità di tornare sul botta e risposta. E di allargare il campo. “Provo stupore per le dichiarazioni di Giovanni. Oltretutto, come ho spiegato già la scelta era stata condivisa – dice Fava -. Quel titolo è tante cose insieme: un film che è nato da un mio racconto e che ha restituito memoria a una vicenda, purtroppo, dimenticata, con la sottolineatura della distanza tra casa di Peppino e casa di Badalamenti. Ma soprattutto la percezione di una contiguità che riguarda coloro che hanno scelto di ribellarsi, la vicinanza, non desiderata eppure esistente, tra vittime e carnefici; l’insistere negli stessi posti, nella prossimità delle biografie e il rifiuto che ne scaturisce. Un sentimento che ha a che fare con i morti e con i vivi e che non appartiene a nessuno, in via esclusiva, ma che è alla base del percorso di tanti. E nessuno può dire: è un affare mio”.

L’argomento è sicilianissimo e suggestivo. Perché lambisce il monolite dell’antimafia familiare che, straziata da una tragedia e pervasa dalla necessaria richiesta della verità, specialmente in qualche cognome e in qualche atteggiamento, ha tentato di monopolizzare le opinioni, attraverso un meccanismo altalenante di concessioni e sgradimenti. “In questa ultima polemica – aggiunge Fava – ho avvertito una punta di risentimento, come se non si volesse che una questione anche personale diventasse un patrimonio collettivo, col ragionamento di chi magari crede che meno siamo, meglio stiamo. Mi va benissimo che Musumeci usi legittimamente una frase di Borsellino. Ma mi pare assurdo che Musumeci possa utilizzare le parole di Paolo Borsellino e Fava non possa fare lo stesso con le parole di Fava”.

E ancora: “Sì, c’è un’antimafia dei parenti che costruisce il suo ghetto. Ma le rivendicazioni dei familiari non sono migliori di quelle degli altri cittadini. Guai a pensare che una tremenda ferita ti dia un diritto in più. Guai e pensare che subire una minaccia mafiosa ti renda il portatore di un verbo indiscutibile. Noi che la ferocia della mafia l’abbiamo vissuta sulla nostra pelle abbiamo il dovere di pronunciare parole levigate. Abbiamo una grande responsabilità. Insisto su un concetto per me basilare: l’antimafia è di tutti”. L’ultima battuta della chiacchierata su cose di Sicilia è intinta di ironia e amarcord: “Pensi che mi hanno criticato perché i passi erano forse novantaquattro e non cento…”.

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