Nel giorno della Commemorazione dei defunti si ricordano le persone amate che non ci sono piú.
Recarsi al cimitero, pulire e adornare le tombe, portare dei fiori, accendere candele e lumini, partecipare a celebrazioni commemorative… sono azioni attraverso le quali si cerca di “dare un senso” alla perdita dei propri cari e di “ritrovare una continuità” con chi non c’è più.
Certi rituali servono infatti a costruire dei “significati condivisi” dando forma al dolore poiché lo rendono visibile, voce all’assenza in quanto la nominano e la condividono, e continuità al legame perché lo mantengono vivo nella memoria.
Certe azioni e comportamenti rappresentano la “risposta affettiva” alla paura della morte: di fronte a questo evento ineluttabile che interrompe la continuità dell’esistenza e mette in crisi il senso stesso del vivere, essi diventano una risposta alla paura del nulla, offrendo una “cornice simbolica” in cui il lutto può essere contenuto e condiviso.
Il dolore trova forma nei rituali
Nel linguaggio dei rituali, il dolore diventa “gesto collettivo”, e l’individuo trova sollievo nel sapere che non è solo nel proprio lutto.
Il rito trasforma la sofferenza individuale in esperienza collettiva, restituendogli una “dimensione relazionale e sociale”, poiché nel momento in cui più persone partecipano a un gesto comune, il dolore si alleggerisce perché diventa condiviso e riconosciuto.
L’individuo non è dunque più solo nel proprio lutto, ma “parte di una comunità” che accoglie e dà significato alla perdita.
Dare un senso al caos emotivo
Dopo una perdita, la mente è attraversata da un vortice di emozioni che spesso si alternano o si sovrappongono: l’incredulità di fronte a ciò che è accaduto, la rabbia per ciò che non può più essere cambiato, la nostalgia per i momenti condivisi, il senso di colpa per ciò che si è detto o non si è detto, fino alla disperazione che accompagna la percezione di un vuoto irreversibile.
In questa confusione interiore, i rituali di commemorazione svolgono una funzione fondamentale: “danno una forma al caos”.
Attraverso la ripetizione dei gesti, l’esperienza del dolore diventa ritmica, prevedibile, condivisa.
Ciò che dentro è informe trova un ordine ed un significato.
Il legame che continua: dalla perdita alla presenza simbolica
Una volta che il dolore ha trovato una forma, il lutto si trasforma in un processo più profondo: riconoscere che la relazione con chi non c’è più non finisce, ma “cambia forma”.
Questo è il cuore di ciò che in psicologia viene definito “continuing bond” –legame continuo-, una prospettiva che supera l’idea tradizionale del “lasciar andare” per abbracciare quella del “continuare a sentire” in modo nuovo.
Il legame non si dissolve dunque con la morte, ma si trasforma da presenza fisica a “presenza simbolica”.
Chi resta trova modi per mantenere viva la connessione: nei ricordi, nei racconti, negli oggetti, nei gesti quotidiani, nei valori che continuano a ispirare.
Portare avanti una passione del defunto, ripetere un suo modo di dire, cucinare una sua ricetta, visitare un luogo caro: sono tutte forme di continuità affettiva che danno significato e conforto.
Le persone amate continuano a vivere nei pensieri, nei valori, nelle parole e nei gesti quotidiani; il ricordo, allora, non è una resistenza al distacco, ma una forma evolutiva di connessione.
Il ricordo come eredità e trasmissione
Ogni famiglia custodisce al proprio interno un patrimonio memoriale fatto di storie, immagini, oggetti e gesti.
Raccontare “com’era il nonno”, cucinare il dolce della nonna, mostrare ai bambini le fotografie di chi non hanno conosciuto sono tutte forme di trasmissione intergenerazionale del legame.
Il ricordo diventa allora “ponte tra le generazioni”, un modo per dare radici e identità.
Attraverso la memoria, i vivi si riconnettono con la propria storia, e i morti continuano a partecipare alla vita affettiva della famiglia.
Così, la commemorazione non è un atto di nostalgia, ma un gesto di appartenenza e continuità.
La memoria come cura del legame
Commemorare i defunti significa riconoscere la “continuità dei legami” e dare voce all’assenza.
Il rito, la parola e il ricordo trasformano il dolore in relazione, e la perdita in memoria viva.
La commemorazione, allora, non appartiene solo al passato, ma al presente relazionale: è un modo per custodire la trama affettiva che ci definisce, per mantenere vivi i legami che ci hanno formato, e per trasformare il dolore in continuità, senso e gratitudine.
Ricordare è un atto d’amore
È dire a chi non c’è più: continui a vivere in ciò che siamo diventati.
Commemorare significa cosí “ricucire la trama dei legami”, integrare la perdita nel flusso della vita e permettere alla memoria di diventare risorsa.
Ogni atto di ricordo è anche un “atto di vita”: un modo per dire che ciò che abbiamo amato non scompare, ma continua ad abitare le relazioni, a ispirare gesti, a dare senso al presente.
In fondo, ricordare non è solo guardare indietro: ma continuare a camminare insieme, portando con sé ciò che resta vivo dentro di noi.
[La dott.ssa Pamela Cantarella è una Psicologa Clinica iscritta all’Ordine Regione Sicilia (n.11259-A), libera professionista e specializzanda in Psicoterapia ]ad orientamento Sistemico-Relazionale]

