Entra in libreria, paga con carta di credito e si ritrova sotto processo. Mica per un reato di poco conto. Sul capo di un dirigente palermitano dei vigili del fuoco pesava il fardello di avere violato la direttiva europea sulla “prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo”. Sì, roba di Al Qaeda e dintorni. Alla fine è stato assolto dal tribunale di Palermo, ma ha rischiato fino a tre anni di carcere.
Questi i fatti. Il dirigente si vede recapitare a casa della madre una carta di credito della Findomestic. Qualche giorno dopo entra in una nota libreria del centro città e, una volta alla cassa, si accorge di non avere contanti. Quale migliore occasione per servirsi della carta di credito? Un mese dopo l’acquisto incriminato, viene contatto dai carabinieri. Gli spiegano che si è trattato di un disguido. La carta che gli è stata spedita apparteneva a un altro cliente. Un banale caso di omonimia. O quasi, visto che il legittimo proprietario ha le sue stesse generalità con l’unica differenza nella declinazione al femminile del nome di battesimo. Si tratta, infatti, di una donna. Il dirigente dei pompieri palermitani si scusa, restituisce la carta e rimborsa i quaranta euro – tanto aveva speso – sia alla donna che alla Findomestic, giusto per evitare ulteriori strascichi.
Caso chiuso? Si fa presto a cantare vittoria. Il dirigente viene rinviato a giudizio e si ritrova sotto processo davanti al Tribunale monocratico. Il difensore, l’avvocato Alessia Alessi, innanzitutto ha puntato sulla buona fede dell’imputato. Poi, ha tracciato uno scenario apocalittico. Ipotizzare un’accusa così pesante ogni qualvolta qualcuno utilizzi una carta altrui sarebbe “un’aberrazione del sistema”. Così l’ha definita. Lo stesso pubblico ministero aveva chiesto l’assoluzione. Caso chiuso. Stavolta per davvero.