I sette peccati di Crocetta - Live Sicilia

I sette peccati di Crocetta

Il caos sulle rivelazioni dell'Espresso rischia di far dimenticare i motivi politici che rendono questa esperienza di governo un fallimento. Eccoli, uno per uno. Dai conti in rosso alla questione morale.

PALERMO – Di zone d’ombra, a pensarci bene, ne esistono più d’una. E interferiscono con questa esperienza di governo molto più di quanto abbiano potuto fare con le telefonate tra Crocetta e il primario Tutino. Scivoloni, flop, voragini di nulla riempite da annunci mediatici svaniti nell’etere, lasciando ai siciliani gli occhi pieni e le mani vuote. Che quella telefonata tra Matteo Tutino e Rosario Crocetta sia avvenuta o meno, sotto certi aspetti non è poi così importante. Non è decisiva, almeno, nel bilancio di una esperienza politica fallimentare già da tempo. Anche prima delle indiscrezioni dell’Espresso. Che rischiano, paradossalmente, di fornire un “assist” a Crocetta e alla sua maggioranza. Di ridurre il disastro a un tentato “golpe”. Di puntare il dito contro il rischio di vedere “lesa” la legittimità di istituzioni scelte dai cittadini, dimenticando in che modo, finora, quelle istituzioni siano state utilizzate. E con quali risultati.

1. I conti allo sfascio

Risultati che in certi casi sono desumibili dalle “carte”. Quelle ad esempio degli organi di controllo. Insomma, se non si annoverano, tra i presunti golpisti, anche i magistrati della Corte dei conti, c’è davvero da preoccuparsi. Nell’ultimo giudizio di parifica, infatti, i giudici contabili hanno consegnato all’opinione pubblica una Sicilia allo sbando. E, non dimenticando la pesante eredità dei governi Cuffaro e Lombardo – i cui effetti si avvertono in alcuni casi anche oggi – e anche la mano non certo leggera dello Stato centrale nei confronti dell’Isola, la gestione dei conti dei governi Crocetta è da film dell’orrore. Le finanziarie di questo governo (sempre in ritardo, sempre da aggiustare strada facendo) hanno subito la bocciatura di circa un centinaio di articoli, considerati “incostituzionali” dal Commissario dello Stato. Senza dimenticare la rinuncia a contenziosi per circa cinque miliardi di euro. Somme “regalate” in qualche caso, come dimostra una recente sentenza della Consulta, al governo centrale. Ma un regalo è stato fatto anche ai siciliani. Sotto forma di nuovi debiti. Un dato sottolineato dalla Corte, che ha ricordato come, entro il 2015, l’indebitamento della Sicilia sfiorerà gli otto miliardi di euro. Prima di Crocetta l’indebitamento era poco più della metà. Più di tre miliardi di debiti in più dal 2012. Un miliardo di debiti l’anno. E rate da pagare in alcuni casi per i prossimi trent’anni.

2. Tagli e risparmi? Chi li ha visti?

Nell’ultimo esercizio finanziario, poi, sono diminuite bruscamente (più del 10 per cento) anche le entrate della Regione: due miliardi in meno rispetto all’esercizio finanziario precedente. Mentre, nonostante la sbandierata lotta agli sprechi del governo Crocetta, crescono anche le spese: di un miliardo e mezzo in un anno. Questo è il più chiaro segno dell’incapacità di dare seguito a quegli annunci: abbiamo tagliato uno, due, cinque miliardi di sprechi. Sempre i giudici della Corte hanno evidenziato, ad esempio, proprio nel settore in cui Crocetta afferma di avere abbattuto sprechi e privilegi, quello rovente della Sanità, il “mancato raggiungimento di alcuni importanti obiettivi di contenimento della spesa previsti dalla normativa statale in tema di spending review”. Altro che tagli, quindi. E del resto, tra i bluff più cocenti c’è proprio quello riguardante il risparmio. Appena insediatosi, Crocetta annunciò ai quattro venti la chiusura di tutte le società partecipate mangiasoldi. Alla fine, non chiuderà nemmeno un sottoscala. E in effetti, anche basandosi sul giudizio di parifica della Corte, sembra non essere cambiato nulla rispetto al passato: “L’elevato volume dei costi e del dato occupazionale si inserisce in un quadro di gravi, diffuse e sedimentate criticità del sistema delle società pubbliche regionali, già oggetto di specifici rilievi da parte della Corte. Le gestioni, invero, espongono pesanti e reiterate perdite e richiedono continui interventi di soccorso finanziario, mentre gli obiettivi contrattuali e la qualità dei servizi erogati sfuggono a controlli peraltro carenti”. Alla faccia della rivoluzione.

3. Nessuna riforma, ma tanti spot

Rivoluzione che doveva, in realtà, poggiare su una serie di riforme che avrebbero finalmente cambiato il volto alla Sicilia. Oggi, a prescindere dalle intercettazioni telefoniche, la riforma delle Province, sbandierata su tutte le televisioni nazionali, non esiste ancora e si è assistito a un lungo interludio di commissariamenti con i quali fedelissimi del governatore hanno sostituito consigli e giunte elette dai cittadini. La riforma dell’acqua non esiste ancora. La riforma dei rifiuti non esiste. La legge sulla Formazione è stata annunciata una dozzina di volte, ma nessuno l’ha vista (mentre in tanti hanno visto lo sfacio del settore). Senza dimenticare che la vita politica della Sicilia è stata infarcita di “perle” come quelle relative all’istituzione dei “Trinacria Bond” o alla trasformazione di una compagnia di autolinee in una compagnia aerea, dalla nomina di Tano Grasso al blocco dell’Eolico, fino al pasticcio del Muos

4. La maggioranza che non c’è

Il presidente spiega che nemmeno all’atto della sua elezione esisteva una maggioranza numerica. Di sicuro c’è che dopo tre anni, nonostante la trasformazione di Sala d’Ercole in un mercato nel quale non si è guardato nè colore nè storia, una maggioranza politica non esiste ancora. Costanti, ad esempio, sono state le liti tra il presidente e il suo partito. Che più volte ha minacciato di “staccare” la spina, per poi ritrovare l”armonia” di fronte alla nuova agenda delle cose da fare. Che altro non erano che il riassunto dei fallimenti precedenti. Fin dall’inizio, quando l’ex segretario Giuseppe Lupo ha chiesto agli assessori in quota PD di lasciare quel governo, passando per Raciti (“Raciti chi?” rispose sarcastico un giorno proprio Crocetta) che ha affermato nei mesi scorsi come il Pd non fosse rappresentato in quell’esecutivo, passando per Antonello Cracolici che parlò di “giunte di camerieri”. Incapacità di creare un vero progetto politico che si è tradotto spesso in clamorosi scivoloni. L’ultimo quello che ha “impallinato” fin dall’articolo 1, la riforma delle Province, grazie al voto contrario (e segreto) di esponenti (scontenti) della (presunta) maggioranza.

5. La retorica della “rottura” e il trasformismo sfrenato

Il caso Province è ovviamente emblematico. Ma in quasi tre anni, sul piano delle riforme non è accaduto nulla. Nulla. Uno zero alla casella risultati. Un vuoto riempito di annunci e di presunte operazioni di rottura col passato. Soprattutto col passato dei governi Cuffaro e Lombardo. E qui, siamo al paradosso. Intanto perché, se una differenza è stata segnata con i governi precedenti sta proprio nel numero di assessori: 38 in 33 mesi. Numeri mai visti. Ma anche scendendo dalle cifre ai nomi, non mancano le prove per dimostrare che quella “rottura”, quella cesura tanto sbandierata, non è mai esistita. Basterebbe soltanto ricordare che, prima di Baldo Gucciardi, Crocetta aveva fatto assessore Giovanni Pistorio. L’ex assessore alla Salute proprio di Cuffaro. In fondo, un incarico col quale il governatore gelese ha solo gettato la maschera. In realtà era tutto evidente fin dall’inizio. Fin dalla prima giunta, cioè. Quando nella squadra di assessori figurava Patrizia Valenti che di Cuffaro fu il capo della segreteria tecnica ed Ester Bonafede, che si candidò alle regionali con una lista collegata al presidente di Raffadali. E di cuffariani non s’è privato, Crocetta, nemmeno nella sua maggioranza. Dove ha instaurato rapporti strettissimi con Lino Leanza, scomparso troppo presto. Il politico catanese fu il vicepresidente di Cuffaro e svolse anche il ruolo di governatore reggente. E ancora, nella maggioranza a sostegno di Crocetta ecco gli ex cuffariani Nino Dina, Totò Cascio, Valeria Sudano, solo per fare i primi nomi. Fino appunto a Pistorio. Che altro non è che il ponte che lega il cuffarismo al “lombardismo” (dell’Mpa fu segretario regionale), un patrimonio politico raccolto a piene mani da Crocetta (compresi ex assessori di quei governi). Anche grazie all’appoggio politico di quel Beppe Lumia che pochi anni fa si batteva per l’ingresso del Pd in un governo politico gudiato da quel governatore già indagato per mafia.

6. Il cerchio magico

Lumia può essere considerato uno dei componenti “di peso” di un cerchio magico che ha condizionato le scelte del presidente. Al di là e sopra i partiti. Il caso Monterosso è solo un esempio, ma basterebbe pensare alla gestione del rapporto con l’ex pm Antonio Ingroia, che il governatore ha provato a “piazzare” prima a Riscossione Sicilia , quindi a Sicilia e-Servizi. Rapporti che hanno finito per “inguaiare” lo stesso governatore, come vedremo nelle vicende che riguardano società partecipate e Sanità. Un nucleo di fedelissimi per i quali il presidente ha spessoprovato ad avere un “occhio di riguardo”. Come quando, ad esempio, provò a inserire in finanziaria una norma che abbattesse i tetti stipendiali per alcuni amministratori amici. O quando consigliò al commissario di Villa Sofia Giacomo Sampieri di dimettersi, per evitargli il divieto di nuovi incarichi che sarebbe giunto con l’eventuale rimozione già decisa da Lucia Borsellino.

7. La questione morale

A proposito di Sanità, la cifra “morale ed etica” è stata, alla fine dei giochi, messa in dubbio da chi, forse, di antimafia ne sa qualcosa. Lucia Borsellino, anche ieri, ha affermato di “provare vergogna” per Crocetta e Tutino. Concetti espressi con altre parole anche prima delle indiscrezioni dell’Espresso. Addirittura nella lettera di addio, quando l’assessore dimissionario parlerà di ragioni di ordine “etico e morale” che rendevano impossibile la sua permanenza in quel governo dal quale era “fuggito” pochi giorni prima e più o meno con le stesse motivazioni Nino Caleca. Così, il fallimento di questa esperienza è anche lì. Nella sua portata moralizzatrice già messa in discussione – considerata la foga riservata da Crocetta anche ad ‘avversari’ incensurati – dalla sua difesa di un segretario generale come Patrizia Monterosso già condannato per danno all’erario (cioè per aver sprecato i soldi dei siciliani). Una difesa che ha suscitato la reazione sdegnata del presidente della Sezione giurisdizionale Luciana Savagnone. E ancora, dalle inchieste su Sicilia e-servizi (della procura contabile e di quella penale) che hanno parlato di “assunzioni al buio” di un “scelta di legalità” rinnegata dal governatore, che risulta tra gli indagati. Una patina di moralità, di “differenza” col passato, disintegrata infine dall’inchiesta su Villa Sofia. Dalle amicizie “sfortunate” del presidente. Da quelle frasi – quelle sì, agli atti – con le quali il primario in carcere (lo stesso che, nel momento dell’arresto chiamerà proprio il governatore) rassicurava il manager Sampieri: “Il presidente non permetterà mai che ci dividano. In gioco c’è troppo”. È già troppo. A prescindere da quella intercettazione. I motivi per dimettersi sono più che sufficienti. Perché questi tre anni di legislatura non sono stati altro che una lunga, incessante zona d’ombra.


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